31 dicembre 2006

LA "VIOLENZA" (*) DELLA S'IGNORA ANNUNZIATA...

...Ovvero, quando l'ignoranza del massmedia è, e crea, violenza laddove pretende invece di stigmatizzarla....


'La Stampa', di giovedì 28 dicembre riporta la lettera della signora Daniela Santus che scrive di essere stufa di sentire di padri (e non dice uomini) che uccidono o tentano di uccidere.
La signora vorrebbe addirittura che il Santo Padre ne parlasse e che la gente si rendesse conto che un bambino può vivere anche senza padre.
Non sappiamo se la Signora Santus sia la stessa docente di Geografia dell'Università di Torino, accusata da alcuni studenti di ave gestito in modo poliziesco e antidemocratico alcune sue lezioni, cui – per spiegare la geografia di Israele, aveva fatto intervenire il viceambasciatore dello stato in questione sospendendo le lezioni alla presenza di studenti definiti “dei centri sociali” e accusando di antisemitismo chi la contestava.
Certo le sue dichiarazioni (purtroppo abbiamo perso il copia e incolla delle stesse) contro i padri lasciano pensare a una forma di integralismo - antimaschile e antipatriarcale, ovviamente, dunque qualcosa che sembra andare di moda.
La risposta della signora Annunziata non è stata comunque da meno.
Eccola:
Mi piace il piglio con cui prende per la collotola questi padri separati le cui sceneggiate sono spesso più materia di cronaca nera che di drammi sentimentali. Effettivamente, il gesto del fuoco in tv davanti al proprio figlio va davvero considerato solo un gesto spiegabile con l'esapserazione della solitudine? O non un atto di brutalità soprattutto nei confronti di quello stesso figlio? Troppi uomini, troppi padri si concedono alla violenza. Troppi uomini sono ancora la ragione e la causa di drammi familiari. Ma il diritto alla paternità e maternità rimane eguale e inseparabile. Se agli uomini tocca fare una strada più lunga per arrivarci non significa che questa strada debba essere bloccata. Forse basterebbe dire che per una volta sono le donne a essere chiamate a esercitare un ruolo di guida, utilizzando la loro capacità, la loro sapienza, la loro generosità per insegnare agli uomini la direzione.
Abbiamo così deciso di rispondere alla signora. Stupiti di come fosse possibile, su un grande quotidiano, tranciare con tanta superficialità un giudizio così disinformato e disinformante.
Ed ecco cosa le abbiamo inviato:
Egregia signora Annunziata,
ho letto la sua risposta alla lettrice Daniela Santus ('La Stampa', giovedì 28 dicembre, pag. 42), circa i padri separati dai figli (“Mi piace il piglio con cui prende per la collotola questi padri separati le cui sceneggiate sono spesso più materia di cronaca nera che di drammi sentimentali.”, come scrive testualmente). Sinceramente, le dico che per la collottola dovrebbe prendersi lei: e così, autoreferenzialmente come scrive, buttarsi nel catino della disinformazione tout court
Intanto i dati sulla violenza dei padri.
Dati che lei non dà ma di cui discute come se li avesse e fossero veri, dal momento che fa mostra di conoscer tendenze e realtà intime.
In verità, prenda nota, se in Italia è aumentata una violenza genitoriale è quella delle madri infanticide: ve ne sono oltre il 40% in più negli ultimi dieci anni (dati ufficiali). Gli altri omicidi – anche quelli compiuti dai padri - sono invariati. Passo per maschilista e di parte, se lo dico e cito cifre ufficiali, tanto più in risposta alla sua affermazione sul genere maschile, molto arbitraria?
Per quanto riguarda i delitti in famiglia di altro tipo, le statistiche italiane, ma anche quelle americane (governative) ci dicono che c'è una sostanziale Pari Opportunità: il 53% compiuto dagli uomini, il 47% dalle donne.
Per quanto riguarda i reati violenti abbiamo una sorpresa: una ricerca italiana del 1995 ci dice che ““Piu' e' emotivamente significativo il legame autore-vittima, piu' aumentano i reati violenti delle donne” (Capri-Lanotte, 1995: il che lascia presumere che il suddetto aumento dei figlicidi abbia ulteriormente accentuato questo dato). In sintesi, sarebbe più pericoloso per un uomo avere relazioni con una donna che per una donna averle per un uomo. Immagino che l'aumento degli infanticidi da madre in Italia abbia peggiorato ancora questo primato.
Le ultime ricerche americane danno però una sostanziale parità fra uomini e donne per quanto riguarda la violenza di coppia: lo stesso Corriere della Sera (02.06.2006) ne aveva riportata: “Coppie & botte: lei le da' quanto lui. Tra i partner violenti stessa percentuale di uomini e donne. «Ma i maschi non denunciano i maltrattamenti»” (l'articolo cita un rapporto, pubblicato sul Morbidity and Mortality Weekly Report dei Centers for Disease Control and Prevention, redatto dal National Center for Injury Prevention.
Il dato è sovrapponibile a quello di una metaanalisi compiuta dall'Università della California sui report di oltre 177.000 episodi di violenza, i quali addirittura demonstrate that women are as physically aggressive, or more aggressive, than men in their relationships with their spouses or male partners.
Non le conto poi le ricerche inglesi, americane, australiane, che riportano le stesse risultanze (con alcune disparità circa il ruolo della violenza non fisica).
Per tutti, le cito comunque il parere, e non mi sorprende, della femminista radicale Wendy McElroy che così si esprime: “Women aren't the only victims of domestic abuse. Men are too, but no one likes to talk about it. ... Battered men pay taxes to support hotlines and shelters from which they are excluded because of their sex. They are dismissed by police because of their sex. Crime and punishment in domestic violence seem to hinge on genitalia and - legally speaking - men have the wrong equipment. The only right abused men seem to have retained in full is the right to remain silent.”.
Ma quello che dovrebbe tagliar la testa al toro, anche e soprattutto per quanto riguarda, l'Italia è cosa pensano e cosa dicono le donne circa la loro famiglia, i loro partner, la vita coniugale.
Secondo la ricerca ISTAT del 2003 solo meno del 5% delle donne riferiscono di essere in disaccordo “SPESSO” con il proprio partner maschile. Le altre lo sono “qualche volta”, “raramente”, o “mai”.
Lei mi dirà che lotta per quel 5% di cui una “certa” parte viene picchiata: ma – a parte che le cifre evidenziate circa gli atti violenti in casa ci dicono che i veri casi di violenza intrafamiliare sono pochi (sempre dati ISTAT) vorrei farle notare che oltre l'80% delle donne ritiene di avere pari poteri decisionali nel gestire con il partner la vita di coppia, e oltre il 90% vede nella la famiglia una fonte di tranquillità per affrontare la propria vita.
Questo scenario statistico, ma frutto dei racconti delle donne (o dubita della capacità dell'Istat di rilevare un fenomeno così grave come la violenza domestica?) non è assolutamente compatibile con le alte percentuali di violenza intrafamiliare usualmente riferite dai mass media circa “padri” e “maschi” violenti e - soprattutto - con l'idea che nella coppia moderna i comportamenti violenti siano uno strumento largamente diffuso e – soprattutto - che implichi sempre sopraffazione del maschio contro la femmina.
A mio avviso – un parere personale, desunto da questi dati e dalla mia venticinquennale pratica clinica - è possibile che nella coppia di oggi i comportamenti violenti abbiano la stessa natura paradossale che hanno – e non che questo sia un bene - nella nostra società: ad un livello sono tollerati, e considerati quasi solo un momento di comunicazione e una parte del processo decisionale; ad un altro livello, sono invece esecrati e condannati, specie quando permettono rivendicazioni e vantaggi personali.
Non è un caso che proprio nelle separazioni fioriscono le finte accuse di violenza, e abuso e, comunque, che lo scenario del maltrattamento venga esasperato per ottenere vantaggi in sede di affido minori (come qualunque buon avvocato sa: il figlio viene immediatamente tolto al genitore denunciato, molto prima e in assenza di qualunque prova di colpevolezza).
Non mi resta dunque che farle presente come quel che lei scrive lei si possa definire falso, o comunque non veritiero e disinformante.
Se poi ella non vuol dar credito alle statistiche e alle ricerche “ufficiali”, ma utilizzarne altre basate sulle sue aspettative personali (magari presentandole come pareri, intuizioni, sentito dire, e via di seguito), dovrebbe a mio avviso confrontarsi un po' di più con la necessità di far chiarezza sulle premesse e le coerenze che utilizza per rivolgere al mondo i suoi messaggi e comunicazioni.
La invito dunque a correggere pubblicamente le sue avventate affermazioni – o comunque a spiegarle tenendo conto di quel che dicono le donne realmente ascoltate - e le chiedo gentilmente di non assegnar palme di conduzioni morali a uno dei due generi, in nome di quella che sembra sempre più (non solo e non tanto da parte sua) una idiota guerra dei sessi o, ben che vada, una stucchevole e mammeggiante propaganda alla competizione fra maschietti e femminucce (“sono le donne a essere chiamate a esercitare un ruolo di guida, utilizzando la loro capacità, la loro sapienza, la loro generosità per insegnare agli uomini la direzione”).
Per quanto riguarda poi i padri separati, vi è un discorso estremamente importante.
Le tragedie di cui lei parla così superficialmente – nascondendo di fatto quello che è un mondo di gravissimi problemi sociogiudiziari dietro un commento a metà fra il gossip e la discussione da reality show (“il gesto del fuoco in tv davanti al proprio figlio va davvero considerato solo un gesto spiegabile con l'esapserazione della solitudine? O non un atto di brutalità soprattutto nei confronti di quello stesso figlio? ) – sono in primo luogo tragedie del diritto: leggi e accordi internazionali non rispettati, sentenze violate, negazioni di diritti civili.
Se un disoccupato o uno sfrattato avessero tentato di darsi fuoco in tivu per richiamare l'attenzione sui casi come il loro, lei avrebbe sicuramente avuto tutt'altra “pietas” sociopolitica: vittime del sistema, si diceva una volta, emarginati e sfruttati che ricorrono a gesti estremi per far sentire la propria voce
Nel caso in questione non si tratta di un licenziato ingiustamente, non si tratta di uno nomade o di un extracomunitario (o di una donna) vittime di illegalità, ma di un padre che per anni è stato oggetto di gravissimi illeciti internazionali: lo si riduce dunque a un esibizionista che dà cattivo esempio, obliando in un lampo tutto un sistema di illeciti e illegalità che sta dietro e accanto a lui. Il punto è che il padre è un oggetto politicamente scomodo, perché evoca il fantasma dell'autorità e delle regole (per la cronaca: il signore di cui parlate non ha certo risolto i propri problemi con il temporaneo arrivo del figlio in Italia).
Il punto più grave, però, è che lei - con commenti del genere - non solo si fa pura disinformazione circa i danni del “fatherless” (di cui la prego di cercarsi le cifre in relazione al disagio minorile e adolescenziale) ma soprattutto si legittima, oggettivamente, una mentalità che porta in embrione quella mafiosa, quella della cultura dell'illegalità.
Tutti i padri che protestano perché non vedono i figli, infatti, lo fanno semplicemente perché le sentenze, o le leggi, o i codici che darebbero ai loro figli e a loro il diritto di una relazione significativa, vengono sistematicamente stracciati: “Ha detto mamma che il giudice è stato troppo buono con te”, è una delle tante frasi con cui questi figli crescono vedendo quanto sia facile disattendere una sentenza. Ce ne sono di infinità, di frasi come queste, come sono infinite le querele che le denunciano: querele puntualmente disattese. Ovviamente.
Se un giorno qualche giornalista avesse il coraggio di compiere un'inchiesta sul pianeta “GIUSTIZIA FAMILIARE E MINORILE”, si accorgerebbe qual è l'enorme varietà e quantità di reati perpetrati ogni giorno. E, soprattutto, si accorgerebbe del totale lasciapassare fornito dallo stesso sistema giudiziario a coloro che violano le sentenze, le leggi, le disposizioni della magistratura emesse dal sistema per gestire il problema.
Tutti questi anni passati a contatto con problemi del genere mi hanno però insegnato che ai giornalisti – alcuni dei quali sono peraltro ben pronti a trinciare giudizi come lei – non interessa nulla approfondire cosa accade in questo pianeta delle separazioni.
I padri (e le madri) che non vedono i figli sono dunque in primis (e nella stragrande maggioranza dei casi) delle vittime di pura e semplice illegalità.
Una illegalità voluta e gestita, in questi casi, dalle mamme. Poi autorizzata da chi – puntualmente - si prende la briga di non sanzionare in alcun modo tutti questi stravolgimenti del diritto, e infine legittimata da chi, come lei, la riduce a una protesta da baraccone, e occultando così colpevolmente (se non dolosamente) i gravissimi problemi sociogiudiziari che sono dietro a casi del genere: leggendo il suo commento mi veniva infatti da pensare alla spocchia delle nobildame dell'ottocento, scandalizzate dal puzzo degli straccioni che protestavano – ai tempi delle prime lotte operaie - per avere pane e lavoro.
Se la nostra è una terra di mafiosi che stracciano le sentenze, di politici che vogliono addomesticare il diritto e privatizzare magistrati e sentenze, di inquinatori indifferenti ai codici di sopravvivenza planetaria, di violatori del diritto altrui al pane e al lavoro (mi scusi arcaiche assonanze a temi da lei dimenticati), è anche – o forse soprattutto - perché fin da piccoli si impara questa cultura della illegalità, questo piegare i codici di convivenza al proprio desiderio, questo vivere nella consapevolezza che la mamma – che facilmente diventa poi “mammasantissima” o semplicemente il proprio desiderio - ha diritto a stracciare ogni sentenza che non è di proprio comodo e irridersi di ogni giudice, carabiniere, cittadino – magari giornalista – che la voglia far rispettare.
Complimenti, dottoressa Annunziata.
Nel suo piccolo ha fatto molto. E così, per chiudere, le ricordo qualche dato: fra gli stupratori, il 60% è costituito da “fatherless”, cioè da ragazzi vissuti senza il padre; tra quelli segnalati con comportamenti violenti, il rapporto fra i fatherless e quelli con normali contatti con i genitori, è di 11 a 1. Poteva rispondere anche questo alla proterva signora Santus. E aggiungere altre cifre: non mancano, per chi le cerca.
Concludo una lettera volutamente lunga (so che non l'avrebbe mai pubblicata, e, comunque, non si può liquidare in poche righe - come ha fatto lei - un problema così serio).
Se si vuole una società dove la regola non sia la violenza, occorre far ritornare il padre. Dandogli pari dignità, e Opportunità, di quanto ne abbiano quelle “donne ... con la loro capacità, la loro sapienza, la loro generosità ” che lei cita come modello di superiore insegnamento morale.
Dr. Gaetano Giordano

(*) è evidente che l'uso del termine "violenza" si riferisce ad un utilizzo metaforico dello stesso e che nessuno sta accusando la signora Annunziata di essere, in sè, una persona "violenta"

25 dicembre 2006

GLI AUGURI DI STEFANO ZECCHI AI PADRI SEPARATI

Da “Il GIORNALE” del 25 dicembre

I miei auguri per non dimenticare

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=144277

di Stefano Zecchi
Cerchiamo di tener duro nella nostra visione così reazionaria, clericale e antimoderna da poter continuare a celebrare il Natale nonostante il multiculturalismo, le finezze ideologiche laiciste, il politicamente corretto, i veli delle donne arabe e le minacce degli uomini arabi. Per quest’anno ce l’abbiamo ancora fatta: con qualche timidezza abbiamo costruito i nostri presepi e addobbato gli alberi, siamo riusciti a trovare qualche buon argomento per chi diceva che è da deficienti celebrare il Natale con quei simboli da sottosviluppo culturale e ci siamo difesi abbastanza bene da quel cenacolo di grandi intellettuali eletti alla Camera dei deputati che hanno piazzato due statuine di omosessuali maschi e due di femmine nel presepio di Montecitorio.
È tempo di auguri, e gli auguri migliori sono quelli che aiutano a non dimenticare. Almeno una volta all’anno (anche se è molto poco), nell’occasione di una festività che celebra l’interiorità degli uomini e fa riflettere sul significato del bene e del male, è doveroso ricordare chi non ha il giusto riconoscimento per ciò che è, per ciò che ha fatto, per ciò che ha subito. Tra i tanti, scelgo due «rappresentanze». I miei auguri vanno ai papà che sono stati privati da sentenze ingiuste e da giudici incapaci di stare, come sarebbe un loro diritto, con i propri figli. E vanno ai feriti e ai parenti delle vittime del terrorismo politico dei nostri lunghi e mai realmente terminati Anni di piombo.
Incominciamo a spiegare perché gli auguri a questi ultimi. Il motivo è semplice: nessuno se li ricorda e quando escono dall’oblio non è perché le istituzioni trovano finalmente un’occasione per dedicare loro il rispetto, l’attenzione e anche il risarcimento economico che meritano, bensì perché qualche loro carnefice viene in un modo o nell’altro acclamato dalle cronache.
La figlia dell’onorevole Aldo Moro, Maria Fida, ha perdonato l’assassina di suo padre, Barbara Balzerani, che è uscita in questi giorni dal carcere pur essendo stata condannata a tre ergastoli.
Tutto naturalmente secondo la legge che prevede gli sconti di pena come i giochi a premio: se fai il bravo per un anno te ne condono tre, se studi due, se fai qualche nome di un complice quattro eccetera. E così la brava terrorista Balzerani, che ha sulla coscienza sei omicidi, ha lasciato il carcere.
Il perdono è un fatto soggettivo, appartiene alla coscienza di una persona: lo Stato non può perdonare, deve essere giusto. È giusto con la terrorista Balzerani e con gli altri terroristi che, condannati a pene detentive severe, sono usciti dal carcere molto prima del tempo previsto? È giusto che questi bravi e buoni terroristi siano oggi tutti impiegati dello Stato, chi nelle biblioteche, chi in Comune, chi nelle Asl, chi nel Parlamento della Repubblica come l’ex terrorista onorevole D’Elia? Dite voi! In fondo, non si amministra la giustizia nel nome del popolo italiano?
Però è certo che delle loro vittime, dei feriti, dei parenti delle vittime che si sono visti fucilare padri e fratelli, lo Stato se ne frega: per questi dimenticati non c’è rispetto, risarcimento, attenzione per l’inserimento nel lavoro, mentre i bravi terroristi oggi sono pagati con le nostre tasse come dipendenti pubblici.
Ai parenti delle vittime del terrorismo, agli oltre 4mila feriti dai terroristi i miei auguri.
Veniamo ai papà. È fuori di dubbio che purtroppo molti padri sono degli sciagurati che non hanno mai capito quale enorme responsabilità abbiano avuto nel mettere al mondo i figli. Pensano che il lavoro o altre attività siano il centro del mondo, si sentono amministratori delegati dell’universo e non dedicano un minuto del loro tempo ai bambini. Quando si dividono dalle mogli, perché nella loro testa c’è sempre qualcosa di più importante del dovere di tenere unita la famiglia, disattendono ogni responsabilità. Però queste figure ignobili non devono gettare ombra sugli altri papà che non sempre per colpa loro non sono riusciti a tenere insieme la famiglia e che vengono sommariamente puniti dalle sentenze dei magistrati:
o perché i giudici non assegnano al genitore i figli che potrebbero benissimo essere educati e cresciuti da loro, o perché i giudici non fanno rispettare le sentenze che stabiliscono quando papà e figli possono stare insieme.
Di fronte al pericolo di una società mammizzata, auguro ai papà di far valere i propri diritti.

19 dicembre 2006

UCCISO PERCHE' AVEVA OTTENUTO I FIGLI IN AFFIDO


IL QUOTIDIANO.NET

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Reggiolo, 18 dicembre 2006 -
SI È AVVENTATO contro il marito separato della sua convivente. Davide Ravarelli, 34 anni, poco prima della mezzanotte del 30 novembre, era andato a squarciare i pneumatici dell’auto dell’ex marito in preda all’ira: quella mattina la corte d’appello di Bologna aveva negato l’affido, per la seconda volta, dei due figli minori, alla sua nuova compagna, e Davide era su tutte le furie. Questa la ricostruzione degli inquirenti sull’omicidio di Christian Cavaletti, 34 anni, imprenditore reggiano.

In auto era rimasta la sua nuova compagna, Francesca Brandoli, 33 anni, incinta all’ottavo mese. Li voleva quei due figli, che a quell’ora dormivano nella cameretta della casa dell’ex marito. Li voleva tutti per sé. Al punto da gridare al mondo intero, attraverso Internet, che nei suoi confronti c’era una congiura affinché non li potesse allevare come lei voleva.

MA I TRIBUNALI, quello di Reggio Emilia prima e quello di Bologna poi, avevano deciso dopo aver ascoltato i genitori e i periti, nominati dagli stessi genitori e dal giudice. Secondo l’ipotesi accusatoria, quella notte erano dunque tutti lì, in via Caboto, zona industriale di Reggiolo avvolta nel buio: Christian Cavaletti, 34 anni, che sarà poi la vittima di questa tragica vicenda, massacrato con venti coltellate, i due figlioletti, avvolti in un sonno profondo, la moglie separata Francesca Brandoli e il suo nuovo compagno, Davide Ravarelli, con un coltello tra le mani, arma che non verrà ritrovata.

TUTTI LÌ e protagonisti di un tragico destino. C’erano state delle liti violente in passato. Per i figli. Ma questa volta accade qualcosa di nuovo. Christian, dall’interno della casa, sente dei rumori: l’esplosione dei pneumatici che si aprono quando il coltello li squarcia. Esce di casa e scende. E’ la sua fine. Viene aggredito, ripetutamete accoltellato. Crolla, cade e il sangue esce a fiotti dal suo corpo. Nessuno può fare qualcosa per salvarlo, nemmeno una persona che accorre subito dopo l’agguato.

UNA «CIMICE», messa dai carabinieri nell’auto presa a noleggio da Francesca Brandoli e Davide Ravarelli, consente agli inquirenti di raccogliere l’ultimo di una serie di gravi indizi a carico della coppia. Lui è nel carcere di Reggio Emilia accusato di omocidio. «Per tre volte si è sottratto all’interrogatorio», ha riferito il procuratore reggiano Italo Materia. Lei invece, pure indagata di omicidio, è libera perché incinta. Così vuole la legge. Non solo, il nostro codice le consentirà di stare fuori finché il bimbo avrà 7 anni.

«L’ALTRO DRAMMA — dice il criminologo e psicologo Lino Rossi — sono i due figli minori. Occorre intervenire subito a sostegno dei nonni, a cui sono stati affidati, e anche nei loro confronti. Sono disorientati e sotto choc. Hanno perso tutti: il padre, a cui volevano bene, perché ucciso, la madre, con cui avevano un rapporto di affetto, perché coinvolta nel delitto, il convivente, nei confronti del quale manifestavano simpatia, perché accusato di aver ucciso il padre».

SOLO POCO prima dei funerali, ai due bimbi è stato detto che il padre era stato ucciso. La notte del delitto, portati via in fretta e furia dalla casa, avevano loro spiegato che il padre si trovava altrove, che lo stavano curando. Ma loro avevano intuito che era accaduto qualcosa di terribile e, mentre i grandi cercavano di tranquilizzarli, loro nella nuova casa dove erano stati portati, (e dove la madre era andata nel frattempo a reclamarli più volte) avevano iniziato a cantare una specie di nenia: papà è morto.

LA CGIL RISPONDE SUI MANIFESTI DI BRESCIA. E DICE IL FALSO SULLE CIFRE

Uno psicologo e psicoterapeuta di Genova ha scritto alla CGIL contestando opportunità, cifre, impostazione della campagna di Brescia contro il padre.

La CGIL risponde.

Ovviamente sbagliando per prima cosa dati e statistiche:



Gent. Dott. Valter Spiller

ho letto la sua lettera del 12 dicembre scorso in merito alla campagna che si sta svolgendo in pro vincia di Brescia contro la violenza sulle donne,promossa dalla Consigliera Provinciale di Paritàe alla quale ha aderito anche la Cgildi Brescia. Anzitutto vorrei ricordarLe che la violenza sulle donne, come dimostrano anche le statistiche internazionali, è la prima causa di morte per la popolazione femminile dai 14 ai 60 anni e che, sempre secondo le statistiche, tale violenza si esercita in oltre il 90% dei casi nella case o in ambienti famigliari e conosciuti.

Ci pare quindi difficile sostenere un para gone tra la violenza maschile, anche famigliare, e gli episodi di presunta violenza femminile.

In ragione di questo, e in ragione del fatto che nonostante il progresso, la libertà femminile viene tuttora contra stata con la violenza e la cultura patriarcale (a qualunque religione si faccia riferimento non è rilevante), riteniamo in generale opportuno partecipare a campagne di informazione che dicano parola pubblica contro la violenza e ribadiscano l’inviolabilità del corpo e della mente delle donne.

Nessuna denigrazione o umiliazione dunque nei con fronti del genere maschile in quella campagna, i cui manifesti erano peraltro già stati utilizzati in campagne analoghe in altre regioni d'Italia,ma la presa d’atto della necessità di compiere una pro fonda rivoluzione nella concezione dei rapporti di genere.

Vorrei inoltre segnalarLe che la struttura regionale che dirigo non ha, né vuole avere, poteri di interdizione di iniziative che vengano assunte dalle Camere del Lavoro pro vinciali, o da Cgil Cisl Uil provinciali.

Per queste ragioni, nel rispetto ovviamente di opinioni diverse e assolutamente legittime, non ritengo utili esplicite prese di posizione, pur essendo disponibile a qualunque con fronto nel merito delle tipologie di campagne di informazione che permettano di trovare gli strumenti più efficacidi contrasto alla violenza sulle donne.

Distinti saluti

Susanna Camusso

Segretario generale CGIL Lombardia”

E' falso che la violenza domestica sia solo una violenza maschile, ed è falso sostenere che la prima causa di morte di una donna sia la violenza maschile.

La violenza di coppia è femminile nel 47% dei casi.

Non sappiamo poi se nelle cifre citate dalla signora Camusso sono compresi anche gli infanticidi compiuti da madri (usualmente riconosciute incapaci di intendere e/o volere), altri episodi di violenza domestica di donna contro donna (i rapporti lesbici violenti sono una realtà), e quale rilievo è dato ad altri studi sul problema (come quelli citati dall'istituto RADAR, statunitense).

Infine, la prima causa di morte per una donna è l'accidente cardiovascolare, seguita dai tumori (confrontare statistiche ISTAT).

Per quanto riguarda la morte per accidente cardiovascolare, il sesso femminile sta raggiungendo quello maschile quanto a percentuale.

Tale escalation è attribuita in piccola parte all'aumento di fumatrici fra le donne, e in gran parte alla maggior presenza nel mondo del lavoro.

Questo significa, in altri termini, che l'uomo è abituato da sempre a morire prima della donna per garantire a lei la sopravvivenza attraverso il proprio lavoro.


Pubblichiamo ora la risposta del dr. Spiller alla sindacalista (in rosa il testo della signora Camusso, in blu la risposta del dr. Spiller)

Gent. Susanna Camusso,

La ringrazio per la sua risposta che, per adesso, rimane l'unica che ho ottenuto dalle istituzioni alle quali ho rivolto la mia richiesta.

Come può immaginare, non sono per nulla d'accordo con le sue risposte, e in generale, con l'impostazione che ha dato alla questione. Provo a risponderle per punti, sperando che abbia la pazienza di leggere queste argomentazioni e immaginare che esiste un "altro modo" per descrivere ed affrontare la questione.

Anzitutto vorrei ricordarLe che la violenza sulle donne, come dimostrano anche le statistiche internazionali, è la prima causa di morte per la popolazione femminile dai 14 ai 60 anni e che, sempre secondo le statistiche, tale violenza si esercita in oltre il 90% dei casi nella case o in ambienti famigliari e conosciuti.


1) Le statistiche italiane, e lei lo sa benissimo (spero), dicono una cosa ben diversa sulla mortalità femminile: i dati ISTAT (2001 e 2003), mostrano che tumori e malattie cardiocircolatorie sono circa 20 volte più frequenti di TUTTE le cause di morte violenta nelle donne (compresi quindi quelle accidentali, ecc.), e il trend purtroppo è in aumento. E l'ISTAT non mi sembra una fonte "patriarcale". Se vuole controllare: http://www.istat.it/dati/dataset/20050922_00.

Questi messaggi sono stati affissi IN ITALIA, letti da mariti e padri ITALIANI, che non possono essere considerati responsabili di ciò che avviene altrove. In Italia il comportamento più a rischio per le donne non è avere un maschio vicino, ma FUMARE (benedetta parità!!) che ormai è di gran lunga la principale causa di malattia (diretta o indiretta) femminile. Trascurare questi dati è pura ideologia, e in una cosiddetta campagna di informazione pubblica (con soldi pubblici) non è una bella cosa!

2) I manifesti sono contro IL PADRE. Qui sta il vero problema. "Gli occhi neri sono di suo padre" e "Lo fa anche papà" , sono un attacco diretto contro funzioni educative fondamentali per lo sviluppo psicosociale di ogni essere umano. Si è dimenticata che la stragrande maggioranza delle percosse fisiche ai figli è inflitto dalle madri? (...sono solo sberle, ceffoni, sculacciate, non sono VIOLENZA, ovviamente!). Si è dimenticata che la stragrande maggioranza dei padri si fa in quattro per mantenere la famiglia?

Anche qualche padre è violento (fisicamente). Quando il padre picchia, fa più male (fisicamente), si sa. Sono d'accordo che questo sia un problema grave, proprio perchè la violenza (come viene raffigurata nei manifesti) è una testimonianza di sconfitta, non certo di potere. Ma identificare una funzione universale (il padre), con la posizione dei POCHI padri violenti è aberrante, antieducativo, pericoloso e FALSO.


Ci pare quindi difficile sostenere un paragone tra la violenza maschile, anche famigliare, e gli episodi di presunta violenza femminile.


La violenza non è una soluzione. Lo sappiamo tutti. Manifesti violenti non sono una soluzione. Spero lo sappiano in molti, dopo questa campagna. La violenza femminile c'è eccome! Si attua semplicemente secondo altre forme, prevalentemente psicologiche, di uguale gravità. E quando è manifesta, è ancora più drammatica (gli esempi sono molti).

Se il prossimo manifesto per la campagna contro la violenza degli ADULTI sui BAMBINI ristraesse una bambina che butta il fratellino nel cassonetto (o fa a pezzi una bambola) sotto una scritta che recita "anche la mamma lo fa", ci sarebbe una rivolta generale. Ma se lo immagina? Eppure esiste anche la violenza femminile, vera, non presunta. Affatto presunta.


In ragione di questo, e in ragione del fatto che nonostante il progresso, la libertà femminile viene tuttora contrastata con la violenza e la cultura patriarcale (a qualunque religione si faccia riferimento non è rilevante), ...


E qua, abbia pazienza, si svela tutto il pensiero che sta dietro queste campagne. La valorizzazione della donna sparisce completamente di scena. E diventa protagonista L'ATTACCO al padre, al maschio in generale. I valori portati dal PADRE sono una espressione PATRIARCALE (e quindi negativa: da combattere se donna, da vergognarsene se uomo).

Questa trappola, in cui ahimè sono cadute tante donne e troppi uomini, è davvero nefasta. L'uguaglianza viene percepita come necessità di negare le differenze fra i sessi, non di valorizzarle. Questo è tragico. Non voglio essere partecipe di questa tragica mistificazione (ha qualche idea sulle possibili cause di un così grande aumento della frequenza di uomini impotenti e di donne sterili?). Pari Dignità NELLA DIFFERENZA, non parità che le annulla!

Infine mi chiedo: ma come è possibile sostenere che la cultura italiana lamenta una eccessiva presenza di valori paterni quando la letteratura scientifica, sociologica, culturale, lamenta esattamente IL CONTRARIO?


riteniamo in generale opportuno partecipare a campagne di informazione che dicano parola pubblica contro la violenza e ribadiscano l'inviolabilità del corpo e della mente delle donne.


Campagne di informazione? I bambini che leggono i manifesti sono informati di cosa? L'informazione (scientifica) cita fonti validate. Forse l'ISTAT si è sbagliata e io non lo so!


Nessuna denigrazione o umiliazione dunque nei confronti del genere maschile in quella campagna


E se molti maschi e padri si sono sentiti denigrati e umiliati, come le mettiamo? Forse non era intenzione farlo (ma non ci credo più, date le sue parole di prima), ma così e stato! Qualcuno rimedierà?


, i cui manifesti erano peraltro già stati utilizzati in campagne analoghe in altre regioni d'Italia, ma la presa d'atto della necessità di compiere una profonda rivoluzione nella concezione dei rapporti di genere.


Sono d'accordo con lei, PROFONDA RIVOLUZIONE: che alle donne si consentito di ricominciare a pensare che il maschile è un mondo inconoscibile, affascinante e "sacro" (e di cui hanno bisogno per sopravvivere).

Le assicuro che qualche maschio che pensa che il femminile sia un mondo sconosciuto, affascinante e "sacro" (e di cui ha bisogno per sopravvivere), per fortuna, c'è ancora!

Un cordiale saluto.

Valter Spiller

Riportiamo ora, da una comunicazione del dr. Spiller, i Dati ISTAT consolidati, pubblicati nel 2005, relativi alle cause di di morte per categorie

CAUSE DI MORTE (GRUPPO ICD9)

Tumori (di cui) 70.150 68.565
Tumori maligni dello stomaco 4.566 4.488
Tumori maligni del colon, retto e ano 7.958 7.969
Tumori maligni della trachea,
bronchi e polmoni
6.167 6.446
Tumori maligni della mammella 11.525 11.334
Diabete mellito 10.936 11.442
Malattie del sistema nervoso 7.899 9.620
Malattie del sistema circolatorio (di
cui)
129.896 138.843
Infarto del miocardio 14.406 17.091
Disturbi circolatori dell'encefalo 38.939 41.430
Malattie dell'apparato respiratorio 13.909 18.162
Malattie dell'apparato digerente 12.043 11.960
Cause accidentali e violente 10.663 10.837
Altre cause 21.252 25.740
276.748 295.169

Continua il dr. Spiller: "E sempre per la cronaca, i maschi fra i 14 e i 60 anni in media muoiono di cause accidentali o violente da quattro a sei volte più delle donne. Altro che "serena autocritica" (come suggerisce la Maculotti nella sua intervista al TG2!).
Ovviamente, e questo occorre dirlo, le cause di morte sono un indicatore molto parziale del fenomeno della violenza e non è corretto utilizzarlo "tout court" per argomentare sulle caratteristiche della violenza (intrafamiliare)."

18 dicembre 2006

SICILIA, UNA STORIA IGNOBILE

dal Forum "Figli Negati":

"Ciao gente! Dopo aver appena pubblicato cio' che riguarda il mio amico ora tocca a me!
Sabato 16 e domenica 17 dicembre sono sceso in sicilia per stare con mio figlio di quasi 2 anni per 2 giorni con tanto di decreto del tribunale in mano!

La "madre" sembrava aver mostrato piu' disponibilita' per il bene del bambino ma.... era come al solito una finzione!

Ho visto mio figlio per 4-4 ore e mezzo al massimo in 2 giorni e con tanto di sorveglianza da parte del nonno materno (che in passato mi ha anche minacciato di morte)! ogni qualvolta che reclamavo il bambino, ecco le risposte: dorme, deve dormire, si e' appena addormentato, deve mangiare, c'e' freddo ... e chi piu' ne ha piu' ne metta!

Ho fatto quasi una giornata sotto l'acqua (pioveva di brutto e avrei tenuto la camera se avessi avuto il bimbo) e per fortuna dei ragazzi titolari di un'osteria mi hanno tenuto da loro anche dopo mangiato avendo capito la situazione! in quelle 4 ore non ho potuto parlare abbracciare e baciare il mio bimbo perche' mi veniva continuamente tolto dalle braccia!

Io di certo non potevo reagire per non turbare la quiete del bimbo che si mostrava affettuoso con me nonostante nell'ultimo anno mi abbia visto a malapena 3 volte! ho preferito chiamare i carabinieri solo quando il bimbo non c'era piu' e solo di domenica! quindi un altro viaggio inutile! ora pero' dopo tanti sforzi (anche economici) ho deciso di procedere solo legalmente con denuncie su denuncie rinunciando completamente al dialogo perche' a parlare con questa gente non si puo' proprio! e sono stanco di essere preso in giro... avrei altre cose da raccontare ma per me e' anche penoso e triste ricordarle! ancor di piu' mi spiace per il mio bimbo che purtroppo non si rende conto dei torti che le sta facendo la "madre"! in quel poco tempo gli ho comprato una camicetta un maglioncino e una macchinina!

L'ho visto tutto contento ma io ero tristissimo perche' non potevo vivere fino in fondo quel suo bel sorrisino! quell'"essere" sta facendo di tutto per fargli dimenticare il suo papa'...anzi mi ha gia' detto che il suo nuovo compagno gli vuole bene davvero non come me! "tu non gli hai mai voluto bene e non lo hai mai voluto, lo facevi star male...." ecco le sue parole... ma cosa diceva? e' un po' di tempo che denuncio che non ci sta con la testa!!! vergognati,vergognati,vergognati vergognati,vergognati, vergognati per l'eternita'!!!!!"

(clicca qui per andare sul Forum)


UNA MAMMINA DISPERATA. & CRISTIANA


da Famiglia Cristiana

http://www.sanpaolo.org/fc/0651fc/0651fc06.htm


di D.A.
QUANDO I GENITORI IN LOTTA TRA LORO INFIERISCONO SUI FIGLIPER FERIRE IL PARTNER QUEI FIGLI "RIDOTTI A BRANDELLI"

La nuova legge sull’affido condiviso è, di per sé, una misura di civiltà, perché i figli non sono da dividere tra i contendenti come il mobilio. Sono persone, al centro della scena.

Caro padre, sono una trentenne, costretta ad affrontare una separazione coniugale. È una cosa lontana anni luce dalla mia vita, e faccio ancora fatica ad arrendermi a questa idea. Mi sono sposata con convinzione, sicura dei miei sentimenti e della persona cui avevo rivolto le "promesse" con abbandono.

Purtroppo, dopo soli due anni di matrimonio, mi sono accorta che mio marito non era l’uomo che avevo sposato. Ho compreso quanto fosse abile a mentire e fingere, quanto fosse innamorato solo di sé stesso e di sua madre, quanto fosse egoista, arrivando anche a fare di tutto per allontanarmi dalla mia famiglia d’origine.

La sofferenza che gli ho manifestato e che lo ha infastidito è stata causata anche dall’acquisto – a mia insaputa – di un cane pastore tedesco cui dedicava tutto sé stesso, incurante del mio terrore per l’animale, della schiavitù cui questo mi obbligava e delle aggressioni subite da me in gravidanza e persino dalla bimba a poche settimane di vita.

Come se ciò non bastasse, anche l’atteggiamento di mio marito diventava sempre più prepotente e aggressivo. È arrivato persino a dirmi che l’amore nei miei confronti era scemato, e che sarebbe tornato al suo paese d’origine, senza di me. A quel punto, l’ho invitato a uscire di casa, visto che è di mia proprietà. Speravo che la lontananza lo facesse maturare, per cui non ho agito legalmente né contro di lui, né per sciogliere il matrimonio. Anzi, ogni giorno lo accoglievo perché potesse vedere la bambina.

Dopo più di un anno che l’anomala situazione si protraeva, senza che da parte sua si concretizzasse il desiderio di sistemare le cose, gli ho chiesto di ufficializzare la separazione in modo pacifico. Da quel momento si è scatenato l’inferno, alimentato soprattutto dalla nuova legge sull’affido condiviso. Utilizzando senza alcun pudore moltissime menzogne contro di me, soprattutto come mamma, è riuscito pure a ingannare il giudice. Il quale, basandosi sulla nuova legge e spinto dalle insistenze del suo avvocato, ha emesso dei provvedimenti provvisori circa l’affidamento di nostra figlia, che sono a dir poco punitivi verso la bambina.

La sua vita, a neppure due anni, è stata spezzata, ed è costretta a uno stress di orari e luoghi che non ha pari.

Stiamo parlando di un essere umano alle sue prime esperienze di vita! Temo che mia figlia farà parte di una generazione di bambini dalla doppia personalità, senza un vero punto di riferimento, perché costretti a dividere non solo il loro tempo a metà, ma anche i giochi, gli indumenti, l’educazione, l’abitazione!
Non è uno sfogo contro il diritto dei padri a crescere i figli, ma questo non può e non dev’essere esercitato a scapito dell’equilibrio e della stabilità dei figli! Al centro di tutto ci sono i bambini, la loro sensibilità, la loro età. Gli uomini si gonfiano di vittoria perché, finalmente, una legge s’è schierata dalla loro parte, ma la sua applicazione provoca effetti nefasti che riducono i bambini a brandelli di essere umano, peggio ancora se sono molto piccoli e non in grado di afferrare il senso delle vicende.

Una mamma pensa anzitutto al bene del figlio. Io mi sto lacerando nel dolore e confido che, alle prossime udienze, la mente del giudice venga illuminata da un po’ di umanità, così che la bimba possa stare più tranquilla e in pace a casa sua, con la propria mamma, per recuperare la serenità.
Una mamma disperata



La lettera di questa madre disperata sembra un’attualizzazione del celebre giudizio salomonico. Nel racconto biblico contenuto nel 1° libro dei Re (cap. 3,16 ss.), il saggio Salomone ricorre a un espediente per scoprire chi fosse la vera madre, tra due donne che litigavano pretendendo ognuna di essere la madre del bambino.

Ordinando che fosse diviso a metà, suscita la reazione di rinuncia da parte della vera madre, la quale preferisce rinunciare al suo bambino, pur di non fargli del male («Date a lei il bambino vivo; non uccidetelo!», mentre l’altra si allinea alla insidiosa sentenza di Salomone: «Non sia né mio né tuo; dividetelo in due»).

Purtroppo, questo amore istintivo non sembra molto diffuso. Assistiamo con frequenza proprio al contrario: genitori in lotta, nel tempo del disamore, che pur di ferire il partner infieriscono sui figli. Nei casi estremi qualcuno arriva perfino a ucciderli, materialmente (rinnovando la tragedia antica di Medea, che uccide i figli avuti dal fedigrafo Giasone). Più spesso il danno è solo psicologico. Non per questo, però, è meno devastante. Tirati da una parte e dall’altra, da questi due adulti in litigio regrediti psicologicamente ed emotivamente al giardino d’infanzia, i figli sono «ridotti a brandelli», come si esprime la nostra lettrice.

La figura giuridica dell’affidamento congiunto è, di per sé, una misura di civiltà. Parte dal presupposto che i bambini non sono cose, da dividere tra i contendenti, come il mobilio o altre proprietà. Loro non sono del padre o della madre: sono persone; piuttosto che venire assegnati all’uno o all’altro, vanno collocati al centro della scena. Sono invece i genitori che, a seconda delle loro capacità e disponibilità, devono essere valutati dal giudice, affinché il bambino riceva protezione e cure al massimo grado. Questo, almeno, è lo spirito che anima la legge dell’affidamento congiunto.

Si tratta di un’opportunità, non di un obbligo assoluto. Se l’affidamento congiunto è un’occasione per gli ex coniugi di continuare a ferirsi reciprocamente, usando il bambino come arma contundente (sempre in senso psicologico...), l’affidamento a uno solo dei due può essere preferibile.

Potrebbe anche darsi che si crei una versione aggiornata del giudizio salomonico: se un genitore dovesse arrivare alla conclusione che la situazione creatasi con l’affidamento congiunto è devastante per il bambino, potrebbe arrivare a rinunciare a rivendicare i propri diritti, perché il benessere del figlio gli sta a cuore più di ogni altra cosa. Potrebbe succedere. Nella realtà, è più probabile che la rivalità con l’altra metà della coppia genitoriale, che si è finito per svalutare e disprezzare, prevalga sull’amore per il figlio. Al quale non ci resta che augurargli buona fortuna nel viaggio attraverso la vita, cominciato così male. E affidandolo alle cure di Dio, che è un Padre che non viene mai meno.

Per chi volesse approfondire il tema dell’affido condiviso e avere un primo bilancio dell’attuazione di questa nuova legge, consiglio il bellissimo e documentato numero monografico di Famiglia Oggi (ottobre 2006), che ha per titolo "Genitori per sempre". Espressione che sta a indicare il diritto dei figli a continuare ad avere un padre e una madre, anche quando sono coinvolti nella fine del matrimonio dei loro genitori.
D.A.

da Famiglia Cristiana

http://www.sanpaolo.org/fc/0651fc/0651fc06.htm


di D.A.
QUANDO I GENITORI IN LOTTA TRA LORO INFIERISCONO SUI FIGLIPER FERIRE IL PARTNER QUEI FIGLI "RIDOTTI A BRANDELLI"

La nuova legge sull’affido condiviso è, di per sé, una misura di civiltà, perché i figli non sono da dividere tra i contendenti come il mobilio. Sono persone, al centro della scena.

Caro padre, sono una trentenne, costretta ad affrontare una separazione coniugale. È una cosa lontana anni luce dalla mia vita, e faccio ancora fatica ad arrendermi a questa idea. Mi sono sposata con convinzione, sicura dei miei sentimenti e della persona cui avevo rivolto le "promesse" con abbandono.

Purtroppo, dopo soli due anni di matrimonio, mi sono accorta che mio marito non era l’uomo che avevo sposato. Ho compreso quanto fosse abile a mentire e fingere, quanto fosse innamorato solo di sé stesso e di sua madre, quanto fosse egoista, arrivando anche a fare di tutto per allontanarmi dalla mia famiglia d’origine.

La sofferenza che gli ho manifestato e che lo ha infastidito è stata causata anche dall’acquisto – a mia insaputa – di un cane pastore tedesco cui dedicava tutto sé stesso, incurante del mio terrore per l’animale, della schiavitù cui questo mi obbligava e delle aggressioni subite da me in gravidanza e persino dalla bimba a poche settimane di vita.

Come se ciò non bastasse, anche l’atteggiamento di mio marito diventava sempre più prepotente e aggressivo. È arrivato persino a dirmi che l’amore nei miei confronti era scemato, e che sarebbe tornato al suo paese d’origine, senza di me. A quel punto, l’ho invitato a uscire di casa, visto che è di mia proprietà. Speravo che la lontananza lo facesse maturare, per cui non ho agito legalmente né contro di lui, né per sciogliere il matrimonio. Anzi, ogni giorno lo accoglievo perché potesse vedere la bambina.

Dopo più di un anno che l’anomala situazione si protraeva, senza che da parte sua si concretizzasse il desiderio di sistemare le cose, gli ho chiesto di ufficializzare la separazione in modo pacifico. Da quel momento si è scatenato l’inferno, alimentato soprattutto dalla nuova legge sull’affido condiviso. Utilizzando senza alcun pudore moltissime menzogne contro di me, soprattutto come mamma, è riuscito pure a ingannare il giudice. Il quale, basandosi sulla nuova legge e spinto dalle insistenze del suo avvocato, ha emesso dei provvedimenti provvisori circa l’affidamento di nostra figlia, che sono a dir poco punitivi verso la bambina.

La sua vita, a neppure due anni, è stata spezzata, ed è costretta a uno stress di orari e luoghi che non ha pari.

Stiamo parlando di un essere umano alle sue prime esperienze di vita! Temo che mia figlia farà parte di una generazione di bambini dalla doppia personalità, senza un vero punto di riferimento, perché costretti a dividere non solo il loro tempo a metà, ma anche i giochi, gli indumenti, l’educazione, l’abitazione!
Non è uno sfogo contro il diritto dei padri a crescere i figli, ma questo non può e non dev’essere esercitato a scapito dell’equilibrio e della stabilità dei figli! Al centro di tutto ci sono i bambini, la loro sensibilità, la loro età. Gli uomini si gonfiano di vittoria perché, finalmente, una legge s’è schierata dalla loro parte, ma la sua applicazione provoca effetti nefasti che riducono i bambini a brandelli di essere umano, peggio ancora se sono molto piccoli e non in grado di afferrare il senso delle vicende.

Una mamma pensa anzitutto al bene del figlio. Io mi sto lacerando nel dolore e confido che, alle prossime udienze, la mente del giudice venga illuminata da un po’ di umanità, così che la bimba possa stare più tranquilla e in pace a casa sua, con la propria mamma, per recuperare la serenità.
Una mamma disperata



La lettera di questa madre disperata sembra un’attualizzazione del celebre giudizio salomonico. Nel racconto biblico contenuto nel 1° libro dei Re (cap. 3,16 ss.), il saggio Salomone ricorre a un espediente per scoprire chi fosse la vera madre, tra due donne che litigavano pretendendo ognuna di essere la madre del bambino.

Ordinando che fosse diviso a metà, suscita la reazione di rinuncia da parte della vera madre, la quale preferisce rinunciare al suo bambino, pur di non fargli del male («Date a lei il bambino vivo; non uccidetelo!», mentre l’altra si allinea alla insidiosa sentenza di Salomone: «Non sia né mio né tuo; dividetelo in due»).

Purtroppo, questo amore istintivo non sembra molto diffuso. Assistiamo con frequenza proprio al contrario: genitori in lotta, nel tempo del disamore, che pur di ferire il partner infieriscono sui figli. Nei casi estremi qualcuno arriva perfino a ucciderli, materialmente (rinnovando la tragedia antica di Medea, che uccide i figli avuti dal fedigrafo Giasone). Più spesso il danno è solo psicologico. Non per questo, però, è meno devastante. Tirati da una parte e dall’altra, da questi due adulti in litigio regrediti psicologicamente ed emotivamente al giardino d’infanzia, i figli sono «ridotti a brandelli», come si esprime la nostra lettrice.

La figura giuridica dell’affidamento congiunto è, di per sé, una misura di civiltà. Parte dal presupposto che i bambini non sono cose, da dividere tra i contendenti, come il mobilio o altre proprietà. Loro non sono del padre o della madre: sono persone; piuttosto che venire assegnati all’uno o all’altro, vanno collocati al centro della scena. Sono invece i genitori che, a seconda delle loro capacità e disponibilità, devono essere valutati dal giudice, affinché il bambino riceva protezione e cure al massimo grado. Questo, almeno, è lo spirito che anima la legge dell’affidamento congiunto.

Si tratta di un’opportunità, non di un obbligo assoluto. Se l’affidamento congiunto è un’occasione per gli ex coniugi di continuare a ferirsi reciprocamente, usando il bambino come arma contundente (sempre in senso psicologico...), l’affidamento a uno solo dei due può essere preferibile.

Potrebbe anche darsi che si crei una versione aggiornata del giudizio salomonico: se un genitore dovesse arrivare alla conclusione che la situazione creatasi con l’affidamento congiunto è devastante per il bambino, potrebbe arrivare a rinunciare a rivendicare i propri diritti, perché il benessere del figlio gli sta a cuore più di ogni altra cosa. Potrebbe succedere. Nella realtà, è più probabile che la rivalità con l’altra metà della coppia genitoriale, che si è finito per svalutare e disprezzare, prevalga sull’amore per il figlio. Al quale non ci resta che augurargli buona fortuna nel viaggio attraverso la vita, cominciato così male. E affidandolo alle cure di Dio, che è un Padre che non viene mai meno.

Per chi volesse approfondire il tema dell’affido condiviso e avere un primo bilancio dell’attuazione di questa nuova legge, consiglio il bellissimo e documentato numero monografico di Famiglia Oggi (ottobre 2006), che ha per titolo "Genitori per sempre". Espressione che sta a indicare il diritto dei figli a continuare ad avere un padre e una madre, anche quando sono coinvolti nella fine del matrimonio dei loro genitori.
D.A.

17 dicembre 2006

CARO BABBO NATALE SENZA I FIGLI SI STA MALE











































































Consueta manifestazione a Piazza Navona organizzata da "Figli Negati" per Natale.

Che ha ricordato con i propri striscioni come stare senza figli sia brutto: duemila padri si uccidono ogni anno in Europa disperati perchè non possono vedere i propri figli.

Alla manifestazione erano presenti anche un gruppetto di studentesse di psicologia e sociologia: anche loro a far gli auguri ai figli rapiti.

Una trentina i papà vestiti da Babbo Natale.

Molte le persone che si sono fermate a commentare, fare domande, discutere.
Per ognuno una parola chiarificatrice.


16 dicembre 2006

ASSOLTO EX 570: IL PARZIALE PAGAMENTO DELLA QUOTA DI MANTENIMENTO NON INTEGRA DI NECESSITA' GLI ESTREMI DEL REATO

Un padre è stato assolto dal GIP di una città del centro Italia, dal reato di cui all'art. 570.
Non aveva corrisposto che parzialmente le somme stabilite dal Giudice Civile per il mantenimento della bambina, invero fissato a una quota pari a circa il 70% di tutti i suoi introiti mensili.

L'ex moglie di questi - è stato dimostrato in indagini preliminari - nonostante la mancata corresponsione del totale delle quote, conduceva però una vita abbastanza agiata, con vacanze all'estero, frequentazione di club, spese ingenti rispetto al suo livello di vita.

Nonostante questo, l'avvocato della donna, probabilmente legato alla stessa da una affettuosa amicizia, aveva condotto una vera e propria battaglia legale per cercare di far condannare l'uomo, e comunque cercare di metterlo in difficoltà da un punto di vista giudiziario.

La denuncia per il reato di cui al 570 c.p. faceva peraltro parte di una più ampia strategia di - definiamola così - notevole "attenzione giudiziaria" di questo avvocato contro il padre in questione: pur di vederlo in difficoltà, l'avvocato aveva infatti bersagliato questi con diversi provvedimenti civili, e una impellente quantità di comunicazioni spedite a lui e al suo avvocato onde farlo desistere dai suoi atteggiamenti a tutela della figlia.


Giorni fa l'assoluzione: con la motivazione che "come correttamente ritenuto dal p.m. l'adempimento parziale da parte dell'indagato dell'assegno stabilito, in sede di separazione coniugale, non integra l'ipotesi di reato per il quale si procede qualora siano, comunque, assicurati i mezzi di sussistenza al minore"

BRUNO VESPA DALLA PARTE DEI PADRI SEPARATI

da "GRAZIA"

15 dicembre 2006

L'ULTIMA FRONTIERA: FAR FIGLI SENZA IL PADRE

Da L'AVVENIRE.IT

http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2006_12_15/articolo_709692.html

L’ULTIMA FRONTIERA

FAR FIGLI SENZA IL PADRE

È stata la prima, ed è tuttora fra le più permissive, delle leggi sulla fecondazione assistita in Europa. Ma la Human and Fertilisation and Embriology Act è del 1990, e per il governo inglese è superata. Il ministro per la Salute Caroline Flint ha dunque presentato una proposta di riforma che sta facendo rumore soprattutto per l'apertura all'ipotesi di consentire l'ibridazione in vitro fra embrioni umani e animali. Benché solo a fini scientifici, «per facilitare la ricerca sulle cellule staminali». Approvata la riforma, dunque, in Gran Bretagna si potrebbero produrre embrioni-chimera, mezzi uomini e mezzi mucca, o cane. Non che si intenda farli nascere: servono semplicemente per farli a pezzi: insomma a nobili fini di studio.
Ma se l'apertura alle chimere è la più vistosa - e sinistra - novità, altri punti della bozza presentata meritano di essere sottolineati. Il più significativo è che non ci sarà più bisogno di una figura paterna per accedere a un trattamento di fertilità. Madri singole e unioni gay equiparate dunque a quelle eterosessuali. Due donne, due uomini o una donna sola, nel progetto inglese equivalgono a quelle coppie che osiamo definire "normali" - cioè composte da un uomo e una donna. L'unico punto su cui il progetto, a questo proposito, dice di no è la possibilità di produrre un embrione in vitro con il materiale genetico di due donne, combinazione ormai possibile nell'avanzare trionfante del progresso scientifico. Ma, per il resto, a chi domanderà a un medico di avere un figlio grazie alle provette, non si chiederà più dov'è il futuro padre. Chi ha detto che una figura paterna è necessaria? Si cresce benissimo anche senza, dice il ministro della Salute del governo Blair.

È l'ulteriore passo avanti, questa riforma inglese, di una cultura che da decenni tende all'eliminazione del padre. Già da tempo psicologi e sociologi osservano l'emarginazione dalla famiglia della figura maschile - prima attaccata dal femminismo, poi svuotata dalla carat teristica economica di "capofamiglia" dal lavoro femminile - e un crescente "maternage", o prevalenza della madre, nel rapporto con i figli. L'avvento della fecondazione assistita, riducendo l'apporto del padre a una provetta - e a volte proveniente da uno sconosciuto - aveva inflitto un nuovo colpo alla significanza del padre nell'immaginario collettivo. Il progetto inglese conclude l'operazione: nemmeno in vista dell'educazione del bambino la presenza di un padre è ritenuta utile.

Qualunque formula, tra le possibilità infinite delle "nuove" famiglie, va bene per crescere un figlio, senza bisogno alcuno di ricorrere a quella vetusta figura maschile. Il fatto che le ricerche svolte negli Usa e in Gran Bretagna affermino che la maggior parte dei comportamenti devianti giovanili vengano da ragazzi cresciuti in famiglie senza padre, dev'essere per il governo Blair un puro caso. Il padre, nell'analisi che della famiglia fece Freud, simboleggiava l'autorità, quello che stabiliva un limite fra ciò che era giusto, e sbagliato. Ma, in quella cultura iniziata nel 1968 a Parigi al grido "vietato vietare", e poi fiorita in un attacco radicale alla famiglia e alla procreazione, era chiaro che per il padre - quello che stabilisce il limite - si preparavano tempi duri.

Già lo avevano ridotto a una provetta. Ora non se ne richiede più nemmeno la presenza in casa. Espulso, come un vecchio mobile inutile. Quel divieto di far figli con materiale genetico solo femminile, dice che la tentazione c'è già. E dimostra come la fecondazione artificiale veramente abbia aperto la porta a una impressionante mutazione antropologica.