31 dicembre 2014

QUANDO IL VETRIOLO LO BUTTA LEI...
LA COLPA E' COMUNQUE DI UN "LUI"!


E' quanto si deduce dall'articolo del Corriere.it relativo al caso della ragazza di Milano che ha cercato di sfigurare un proprio ex sfregiandolo con acido muriatico.

Per realizzare il piano, la ragazza, a quanto si dice, si è fatta aiutare da quello che sui giornali è stato definito un "complice".

E' giocoforza capire che se a gettare il vetriolo fosse stato un uomo, la vittima sarebbe stata nominata cavaliere (come accaduto a una vittima del vetriolo dell'ex, l'avvocatessa Annibali, insignita da Napolitano del titolo di cavaliere perché sfregiata con l'acido dall'ex), e il colpevole giustamente additato quale criminale e violento, atrocemente, idiotamente violento.

Adesso che nella vicenda di Milano i ruoli sono invertiti, si assiste a tutta una serie di interventi che esprimono esattamente l'opposto.

La ragazza che ha gettato l'acido, diventa una persona fragile, e -dice un funzionario della Questura (vedi video linkato qui sotto)- «Il movente va ricercato in una triangolazione sentimentale che ha travalicato il concetto di sentimento».


Se era un uomo il colpevole, si sarebbe usato lo stesso concetto? o si sarebbe detto (giustamente) che era un criminale violento, incapace di accettare l'autonomia della donna?

Non ho proprio dubbi (e comunque, per togliermeli, vado a fare una rassegna stampa e aspetto, sperando che non ci sia, il prossimo caso che abbia per colpevole un uomo).

Nel caso di Milano valgono tutte regole opposte. Guarda caso.

La ragazza che avrebbe gettato l'acido è  «Una ragazza con gravi fragilità emotive che ha incontrato la persona più sbagliata», (come sembra abbia detto un investigatore, stando a quel che riporta il Corriere.). E questo anche se ha alle spalle un tentativo di evirare un uomo.

Non solo: la vera figura perversa è nel complice, ci spiega il Corriere.  Cioè in quello che sembra non aver fatto niente (magari perché non ha avuto il tempo di usare il martello che si era portato appresso).

Complice che, comunque, nonostante sia stato evidentemente convinto a eseguire per conto terzi un possibile crimine, diventa l'anima nera di tutto, nonostante la stessa colpevole cerchi di scagionarlo.

E -sempre a quanto risulta- ha dei precedenti, per lo meno in termini di cronaca: ha già cercato di evirare un uomo.

Chi mai definirebbe "fragile" un uomo che avesse questa storia e tenesse questi comportamenti?

Chi direbbe mai -per un uomo- che il movente dell'uso dell'acido muriatico 
"va ricercato in una triangolazione sentimentale che ha travalicato il concetto di sentimento"?
"Narciso", "sadico", "ha le ferite tatuate sulle spalle","ossessivo con le donne", "volontà di possesso", "delirio di onnipotenza", così  il Corriere.it, descrive invece il complice della ragazza, puntandogli contro un vistoso e ben fornito articolo (basta guardare all'evidenza di foto e caratteri).

Come se ciò rendesse meno grave il tentativo di sfregio, come se ciò depenalizzasse in qualche modo il vetriolo e la volontà di usarlo da parte di chi ce l'aveva e l'ha usato, e -soprattutto ed in definitiva- con una lettura del caso che criminalizza comunque un uomo, che ignora che in questo caso la violenza è femminile (motivo per cui si pensa subito alla "fragilità" della colpevole e ad un'anima nera al maschile), che di fatto scagiona -almeno moralmente- la donna violenta,  e che soprattutto è in assoluto contrasto con quanto i media fanno allorché il colpevole è di sesso maschile. 

Leggere per credere:

L'articolo del Corriere:
http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_dicembre_31/palestra-politica-ossessioni-mille-volti-alexander-il-re-732475e0-90c3-11e4-a341-1b24c965fa88.shtml


Il video con le dichiarazioni del funzionario di Polizia: 
http://video.corriere.it/conferenza-stampa-polizia-aggressione-che-nasce-una-tiangolazione-sentimentale/ac044566-8f6f-11e4-b2e8-757fd60bcfb4

25 dicembre 2014

"VIOLENZA IN FAMIGLIA"? "MARITI VIOLENTI"? "PADRI DELINQUENTI"?
ECCO I RISULTATI...

ENNESIMO FIGLICIDIO DA MADRE


http://www.corriere.it/cronache/14_dicembre_25/san-severino-donna-uccide-figlio-13enne-la-cena-natale-049ff444-8bca-11e4-9698-e98982c0cb34.shtml

MA NON PREOCCUPATEVI: GLI STUDI DICONO CHE VIOLENTO E' IL MASCHIO.

E QUELLO DI QUESTA MAMMA -LO DICE PURE IL GIORNALE- ERA "STRESS DA DIVORZIO".

PERCHE'?

PERCHE' QUANDO AMMAZZA UNA MADRE E' PER COLPA DELLO STRESS E DI UNA PATOLOGIA.

MENTRE QUANDO AD AMMAZZARE SONO UN PADRE O UN MARITO, E' PERCHE' E' L'UOMO IN QUANTO MASCHIO AD ESSER VIOLENTO DI NATURA E DUNQUE "INCAPACE DI ACCETTARE LA FINE DELLA RELAZIONE".

Come se non si capisse che simili definizioni -come le "diagnosi" di assoluzione per incapacità di intendere e/o volere- non fossero il frutto di trend culturali.
Come se non si volesse ricordare che il "disagio psichico" e la "violenza" non hanno la stessa misurabilità di metri, chili, centilitri, e sono invece l'espressione di un sistema culturale, dei suoi valori, delle sue relazioni.

Quanti figlicidi sono stati commessi da mamme nei soli ultimi anni?

Tutte malate mentali?

Mentre i padri e i maschi sono tutti potenziali criminali congeniti, lombrosianamente predestinati dalla nascita e dalla "cultura" (ma "cultura" di chi? la loro e solo la loro?) ad essere "violenti", così come sono "forti", hanno "geneticamente più massa muscolare delle donne", "diametri pelvici più ristretti, e -ovviamente- anche molta violenza in più.

La vera trappola è la mistificazione a questo livello, quando cioè tra "genetico" e "culturale" non si fanno le dovute differenze e non si tracciano le relative deduzioni su ciò che compete a ciò che è "genetico" e a ciò che invece è "culturale"

Giungendo, alla fine, al paradosso schizofrenizzante di negare quella che è la premessa dei relativi valori interpretativi, negando cioè che se la violenza maschile è un dato "genetico", allora siamo in pieno positivismo lombrosiano, di fatto orrendamente razzista e portatore di una cultura della sopraffazione fra una razza evidentemente eletta perché "pura" da valenze criminogenetiche, ed una razza "inferiore" da sottomettere perché portatrice di orrende macchie in ciascuno dei suoi individui.

Mentre se si afferma che l'assunto  "l'uomo è violento" è un dato culturale,, allora la "violenza maschile" è un valore sistemico costruito dal nostro insieme sociale e non determinato dalla natura maschile in sé. 
Il che dunque implica che a definire le coordinate e le modalità di "esistenza" e "applicabilità" di questo insieme non è certo "il maschio" in quanto tale, ma un sistema sociale che siamo tutti noi.

Con una richiesta di scuse, a questo punto: perdonateci se a discettare contro la "violenza maschile" come dato congenito e connaturato al maschio, ci sono intellettuali maschi intelligenti e competenti.

Forse qualcuno non si rende conto che questo gioco al massacro della figura maschile -un gioco razzista, in cui dati sociologici pure artefatti diventano evidenze lombrosiani di ottocentesca caricatura, negando anni e anni di scienze sul disagio personale e collettivo come frutto di regole sistemiche (avete dimenticato Basaglia, Laing, Cooper e tutti gli altri, e siete tornati all''800 senza accorgervene?)- questo gioco, dicevo, sta producendo (è un dato statistico: basta leggere i giornali), un aumento delle violenze delle madri sui figli.

Una Medea è sempre esistita(ed è la polarità negativa dell'archetipo della Grande Madre), nell'animo delle dolcissime mammine occidentali, ma adesso sta riemergendo con decisa tranquillità: proprio perché, ad udire dell'ennesimo figlicidio (obliato di solito in pochi giorni e senza statistiche) si dirà che "è malattia"- quando non, addirittura, "stress da divorzio", mentre di un uomo diranno sempre ("lo dice anche la tivvvvù") che il suo "stress da divorzio o separazione" era invece un "amore criminale".
Con ciò sacralizzando il dato che la mamma può uccidere quasi con tranquillità (tutti sanno che sono "il maschio" ed "il padre", violenti!), e pertanto non è un crimine (come le sopraggiungenti  incapacità di intendere e volere prontamente declarano già dai primi momenti di impegno massmediatico per finire solo in Tribunale).

Anche questo povero bambino -che, guarda caso, era atteso dal padre per la cena di Natale- non è vittima di "Violenza Familiare" -termine che sarebbe stato concesso, come una Denominazione di Origine Controllata..., se a colpire tutti fosse stato il padre.

Questo povero bambino, ahimè, non meriterà statistiche, commiati, esecrazioni sulla violenza: sua mamma era "sofferente di nervi", e forse il papà qualche colpa ne aveva, al riguardo, essendo separato e aspettandolo proprio a Natale (chissà, povera donna, quanto soffriva per questo motivo...).

Per lui, e per tanti altri bambini vittime di queste Medee, nessuno sprecherà uno studio, un telefono amico, un numero da chiamare, uno studio statistico, ponderate e poderose esecrazioni sulla violenza materna,

Il nuovo razzismo e l'ennesimo lombrosianesimo della nostra cultura, relegandolo fra i fenomeni privi di allarme sociale, e stigmatizzando la violenza nell'altra figura genitoriale, faciliterà così altre vittime.

I figli assassinati da madre sono vittime della violenza femminile e di una società che vive di stereotipi razzisti e ascientifici esattamente identici a quelli di centocinquanta anni fa.

Come si può notare in questo studio di Harward, infatti...


Almost 24% of all relationships had some violence, and half (49.7%) of those were reciprocally violent. In nonreciprocally violent relationships, women were the perpetrators in more than 70% of the cases. 

Trad.: Nelle relazioni in cui non vi era violenza reciproca, in più del 70% dei casi il partner violento è la donna




eccone gli autori al tempo dello studio:
Daniel J. Whitaker and Linda S. Saltzman were with the Division of Violence Prevention, National Center for Injury Prevention and Control, Centers for Disease Control and Prevention, Atlanta, Ga. Tadesse Haileyesus is with the Office of Statistics and Programming, National Center for Injury Prevention and Control. Monica Swahn is with the Office on Smoking and Health, Centers for Disease Control and Prevention.
Requests for reprints should be sent to Daniel Whitaker, Centers for Disease Control and Prevention, 4770 Buford Highway, NE, MS K-60, Atlanta, GA 30341 (e-mail: vog.cdc@7wpd).

O in quest'altro, che afferma come...
"...Approximately 46% of women and 42% of men reported one or more types ofinterpersonal violence. Women were more likely to experience kidnapping, physical assault by an intimate partner, rape, sexual assault, and stalking, whereas men were more likely to experience mugging or physical assault by someone other than parents or an intimate partner. ......An unintentional consequence of the predominant focus on women in the interpersonal violence literature is that it has resulted in an incomplete understanding of the prevalence and mental health effects of certain forms of interpersonal violence for men relative to women. Using epidemiological data from a large U.S. national sample of women and men, this report is among the first to comprehensively examine gender differences in the prevalence of nine specific forms of interpersonal violence and determine whether the associations of interpersonal violence with a comprehensive assessment of lifetime mental disorders and attempted suicide vary for women and men."




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LINK PER RIFLETTERE:



- E. Pellizzari - La violenza femminile.
Cos’è, come se ne parla
Una meta analisi statistica sul fenomeno









14 dicembre 2014

FATE CHE LA MAMMA POSSA INCONTRARE LORIS. ANCORA UNA VOLTA
UNA PRIMA VOLTA



Si: vorrei che Veronica andasse al funerale del figlio che forse ha ucciso.
Credo che sarebbe un gesto di amore e serenità per tutti: primo fra tutti per Loris.

Perché, d'altra parte, negarglielo, a questa donna?
Per farla soffrire di più?
Perché il nostro compito è farla soffrire di più?
Perché crediamo che "giustizia" significhi impedire ad una madre assassina di piangere sulla bara del figlio?

E' vero: forse è lei che lo ha ammazzato, in modo atroce ed inconcepibile.
E può sembrare assurdo “premiarla” con il permesso di uscire dal carcere e accompagnare la bara del piccolo Lorys fino all'estremo saluto da noi che ci diciamo “vivi”.

Ma siamo sicuri che accompagnare la bara del proprio figlio sia davvero un premio, per una madre che forse ha commesso un delitto così orrendo -un figlicidio?

Forse sarebbe uno strazio ancora peggiore del restare sola in cella.
Forse, una donna in quelle condizioni troverebbe lì la forza di arrendersi ad una propria verità: quella a cui -secondo noi che la riteniamo con ogni probabilità colpevole- sembra voler sfuggire.

Forse troverebbe lì la forza di ammettere -in quel momento, e almeno con sé stessa- quello che non riesce ad ammettere. Nemmeno con sé stessa, a quanto ritengo personalmente.

Forse, potrebbe iniziare da lì un percorso di sofferenza e consapevolezza, di pentimento e amore: un riavvicinamento con Loris, che in qualche parte del nostro “esistere” forse aspetta che la mamma torni a lui come mamma.

Forse, poi, troverebbe una sofferenza ancora maggiore, stando lì. Guardando la bara scendere per sempre nella Madre Terra, una madre più pietosa e tenera di lei come di tutti noi, potrebbe comprendere pienamente l'orrore di quello che crediamo abbia commesso, e una volta per tutte trovare la forza ed il coraggio di confrontarcisi. Ed ammetterlo.

No. credo proprio che non abbia un gran senso -se non in un attacco di vendetta ed invidia da parte di chi si sente sempre dalla parte giusta- vietare alla madre di Loris di andare al funerale del figlio.

Cosa ci può togliere, a noi che ci crediamo giusti e innocenti, la sua presenza a quella cerimonia?
Cosa può togliere ancora al figlio?
E se lei ne ricavasse un briciolo di serenità e pace in più, sarebbe un male? E per chi?

Veronica potrebbe trovare lì la forza di arrendersi e confessare, o scovare -in qualche zolla della terra che coprirà il figlio- il seme di un cambiamento, di una propria verità, di un potersi confrontarsi con sé stessa.

E se così non fosse, se continuasse quella che sembra una recita prima di tutto con sé stessa, il male che ha fatto non andrebbe certo oltre, ma tornerebbe comunque in lei. Non certo a noi, che le abbiamo dato ancora una possibilità.

Senza trascurare l'altra, forse remota, ipotesi: e se fosse innocente? E se qualcuno l'avesse coinvolta in un insieme di circostanze dalle quali non è più riuscita ad uscire?

L'attitudine tutta umana di cercare vendetta chiamandola giustizia dovrebbe sempre, in questi casi, arrendersi ad una pausa di riflessione venata di compassione, e chiedersi cosa si vuole davvero. E perché: quale lato della nostra Ombra condanniamo cioè con tanta determinazione.

E se poi il piccolo Loris esiste ancora sotto forma di una qualche consapevolezza che a noi che ci sentiamo “vivi” sfugge, e in qualche dimensione del nostro infinito esistere, esiste anche “lui”, forse troverebbe un attimo di pace in più, nel vedere sua madre cercarlo e volersi ricongiungere in lui.

Perché pensiamo che il nostro compito di esseri umani è perseguire ancora una separazione, una divisione, una tragedia? Perché se l'orrore di questa madre è stato separarsi in modo così atroce dal figlio, noi vogliamo assumerci ancora il compito di proseguire in questa separazione?

Se Loris è, o ha, ancora una forma di coscienza più o meno vicina ai fatti “umani”, se ha ancora la possibilità di avere una relazione col nostro mondo e con quella che fu sua madre, credo che il vederla lì, a cercarlo, piena di quello strazio che comunque la pervade, non possa che far del bene a lui, che ormai è -comunque- una parte di tutti noi e della nostra coscienza di noi.

Come credo che non possa che portargli ancora più infinito dolore -in quell'infinito in cui forse esiste come coscienza- sentire che anche noi impediamo a sua madre, che già lo ha distrutto, di riavvicinarsi -come può, come è capace- a lui.
Credo che bisognerebbe consentire a Veronica di andare al funerale del figlio.

Credo che farebbe bene a noi tutti, avere questo coraggio.
Farebbe bene a lei -e non vedo perché il nostro compito è farla soffrire ancora di più, condannata com'è al proprio strazio- farebbe bene a noi, perché troveremmo la pace del dare una chance in più alla pace, e farebbe bene a Lorys, che ritroverebbe sua mamma così come doveva essere: vicina a lui nel momento dell'addio.

Perché il nostro compito non è dividerli ancora, desiderare e portare ancora più sofferenza e dolore dove già c'è sin troppa sofferenza e dolore. Nostro compito è far si che in qualche modo si ritrovino.

Ancora una riflessione sulla colpa terribile di questa donna, Veronica.

Stiamo parlando di una ragazza di venticinque anni che sin da quando era piccola -dice sua madre- “era violenta e aggressiva”.
Bene: qualcuno ha provato a pensare cosa significa crescere con una madre che ti dice che sei “violenta e aggressiva” fin da quando sei piccola?

Qualcuno crede che non ci sia nessuna responsabilità psicologica, in una madre del genere, in una madre che dice: «Violenta già quando aveva sette anni. Adesso basta, la famiglia Panarello non vuole dare nessuna mano a questa signora. È stato gettato troppo fango su di noi»?

Solo ad immaginarsela, una madre del genere, viene paura: se la piccola Veronica era “violenta” sin da quando aveva sette anni, sua madre ha -da un punto di vista psicologico- una grande responsabilità per come questa bambina (violenta? Ma come fa una bambina di sette anni ad essere violenta, e a restare violenta per tutta la vita, se qualcuno non la cresce in questa certezza?), per come questa bambina, dicevamo, è venuta su.

E, a sancire un rinnegarla che non è certo cominciato con questa intervista, la madre di Veronica chiama la figlia “signora”. Come se non fosse sua figlia.

Parliamo dunque di una bambina che “Veronica che si è sempre sentita rifiutata dalla madre, Carmela, che le ha detto di non averla mai voluta, di essere il frutto di una gravidanza indesiderata nata da un rapporto con un uomo che non è il padre che poi l'ha riconosciuta. Veronica che per l'ennesima relazione clandestina della madre (cinque figli da tre uomini diversi) ha tentato di uccidersi a 14 anni stringendosi al collo un laccio e provando ad impiccarsi.” (come da articolo su Repubblica.it).

Una vita che è stata un inferno, dunque.
E il cui inferno peggiore, adesso, è di aver creato altri inferni.

Perché qualcuno può cercare di capire cosa significa vivere la propria infanzia in un mondo affettivo del genere? Con -ce lo si passi- una madre che ti etichetta come "violenta" sin da quando hai sette anni?

Meglio non aggiungere altro: se non l'invito ad approfondire il ruolo che la madre di una bambina ha nel determinare l'incapacità a non essere “violenta”.
Chi lo sa che non si scopra che è troppo facile trovare il colpevole dove noi vediamo “un” colpevole.

Sono convinto che Loris, e quello che della sua consapevolezza di sé forse vive in qualche parte di quello che è il nostro vero “universo”, troverebbe serenità e pace dal vedere la mamma al suo funerale.

Come se fosse l'inizio di un loro nuovo esistere insieme. E di una nuova, infinita, pace.
Quella che quaggiù non ha avuto.

Ciao, Loris, ti portiamo tutti con noi.

13 dicembre 2014

Quando la 27° ora non arriva...
Arriviamo noi

La 27 ora è una rubrica al femminile del “Corriere della Sera”.
Pretende di trattare molti argomenti da un punto di vista “femminile”, e di farlo con obbiettività e usufruendo del colloquio con i lettori.
Si possono dunque inserire dei commenti.
Abbiamo provato pochi giorni fa ad inserire un commento, e sino ad ora non è stato inserito.
Lo riproponiamo qui, insieme alla stampata del video come risultava quando l'abbiamo postato.
Il fatto è che questo commento affronta, in modo scorretto uno dei baluardi dell'ideologia femminista, vale a dire la violenza del maschio.
Occorre qui dire che non tutta l'ideologia femminista ha questa opinione: basta vedere cosa sostiene Erin Pizzey, convinta che i casi di violenza domestica sono nella maggior parte dei casi frutto di violenza reciproca (come si legge ad esempio in”Proney to violence: http://www.menweb.org/pronevio.htm).
Un'altra femminista distante da queste posizioni è la Wendy McElroy, ovviamente mai citata -insieme alla Pizzey- dalle sorelle della 27° ora.

Come potrete notare, un commento -postato dopo quello di chi scrive- è stato pubblicato (si tratta di quello intitolato "Veronica Panarello", di GICIEMME, inserito il 13 dicembre alle 15.01).
Questo -CHE LO PRECEDEVA (postato il 12 dicembre, alle 23.32)- no


Si tratta di una....
                                       

IL CONCETTO DI "VIOLENZA DEL MASCHIO"...
è, innanzitutto, un modo razzista di inquadrare un problema.

Attribuire la violenza ad un genere, e farne una caratteristica di esso, è un magnificare una visione razzista delle relazioni umane, ed è un pieno e totale ritorno a Lombroso, che identificava i criminali dalle fattezze fisiche. 

E’ dunque attitudine alla violenza, perché depersonalizza ogni individuo di quel sesso (quello maschile, nel caso) e lo riduce ad un oggetto di studio. 

Di più: è un regresso alle logiche psichiatriche degli anni sessanta, quelli delle lobotomie e degli elettrochoc, dal momento che identifica la violenza in un “bios” (il corpo dell’uomo) e non in un sistema, in un contesto culturale e/o antropologico. 

Peggio ancora, consacra una visione manichea e ghettizzzante delle relazioni umane, con un ritorno ai temi del Medioevo, proponendo una donna che è l’imitazione terrena della Madonna: buona, Immacolata dal peccato, e che deve astenersi da contaminazioni col maschile. 

Il “maschio” in quanto tale (e non il singolo uomo donna immerso in una coppia e in un sistema?) è violento per conservare il potere? 

Nel 2003 uscì una ricerca ISTAT (*) secondo la quale 8 donne su 10 affermavano di avere lo stesso potere decisionale del partner maschile all’interno della coppia. Questa ricerca non viene più citata perché nega alla radice il fenomento della violenza maschile come violenza di un genere e per il potere.
E la violenza all’interno delle coppie lesbiche, perché non viene mai studiata e citata? Nelle coppie lesbiche non è raro trovare violenze terribili, ma il dato viene taciuto.
In sintesi: l’idea che ad essere violento nella coppia è solo il maschio, è una delle radici che sta legittimando sempre più figlicidi.
Quando il colpevole è maschio, lo si definisce un criminale. Quando è colpevole una donna o una madre, la si definisce una vittima.

Una preghiera per Loris, ucciso anche dai nuovi stereotipi politically-correct.


(*) CLICCA QUI PER LEGGERE E, FORSE, STUPIRTI: COME FANNO LE DONNE A SUBIRE TANTA VIOLENZA SE QUASI 8 SU 10 AFFERMANO DI CONTARE QUANTO L'UOMO?