La
27 ora è una rubrica al femminile del “Corriere della Sera”.
Pretende
di trattare molti argomenti da
un punto
di vista “femminile”, e di
farlo con obbiettività e usufruendo del colloquio con i lettori.
Si
possono dunque inserire dei commenti.
Abbiamo
provato pochi giorni fa ad inserire un commento, e sino ad ora non è
stato inserito.
Lo
riproponiamo qui, insieme alla stampata del video come risultava
quando l'abbiamo postato.
Il
fatto è che questo
commento affronta, in modo scorretto uno dei baluardi dell'ideologia
femminista, vale a dire la violenza del maschio.
Occorre
qui dire che non tutta l'ideologia femminista ha questa
opinione: basta vedere cosa sostiene Erin Pizzey, convinta che i casi
di violenza domestica sono nella
maggior parte dei casi
frutto di violenza reciproca (come si legge ad esempio in”Proney to
violence: http://www.menweb.org/pronevio.htm).
Un'altra
femminista distante da queste posizioni è la Wendy McElroy,
ovviamente mai citata -insieme alla Pizzey- dalle sorelle della 27°
ora.
Come potrete notare, un commento -postato dopo quello di chi scrive- è stato pubblicato (si tratta di quello intitolato "Veronica Panarello", di GICIEMME, inserito il 13 dicembre alle 15.01).
Questo -CHE LO PRECEDEVA (postato il 12 dicembre, alle 23.32)- no.
Si tratta di una....
IL CONCETTO DI "VIOLENZA DEL MASCHIO"...
è,
innanzitutto, un modo razzista di inquadrare un problema.
Attribuire la violenza ad un genere, e farne una caratteristica di esso, è un magnificare una visione razzista delle relazioni umane, ed è un pieno e totale ritorno a Lombroso, che identificava i criminali dalle fattezze fisiche.
E’ dunque attitudine alla violenza, perché depersonalizza ogni individuo di quel sesso (quello maschile, nel caso) e lo riduce ad un oggetto di studio.
Di più: è un regresso alle logiche psichiatriche degli anni sessanta, quelli delle lobotomie e degli elettrochoc, dal momento che identifica la violenza in un “bios” (il corpo dell’uomo) e non in un sistema, in un contesto culturale e/o antropologico.
Peggio ancora, consacra una visione manichea e ghettizzzante delle relazioni umane, con un ritorno ai temi del Medioevo, proponendo una donna che è l’imitazione terrena della Madonna: buona, Immacolata dal peccato, e che deve astenersi da contaminazioni col maschile.
Il “maschio” in quanto tale (e non il singolo uomo donna immerso in una coppia e in un sistema?) è violento per conservare il potere?
Nel 2003 uscì una ricerca ISTAT (*) secondo la quale 8 donne su 10 affermavano di avere lo stesso potere decisionale del partner maschile all’interno della coppia. Questa ricerca non viene più citata perché nega alla radice il fenomento della violenza maschile come violenza di un genere e per il potere.
E la violenza all’interno delle coppie lesbiche, perché non viene mai studiata e citata? Nelle coppie lesbiche non è raro trovare violenze terribili, ma il dato viene taciuto.
In sintesi: l’idea che ad essere violento nella coppia è solo il maschio, è una delle radici che sta legittimando sempre più figlicidi.
Quando il colpevole è maschio, lo si definisce un criminale. Quando è colpevole una donna o una madre, la si definisce una vittima.
Attribuire la violenza ad un genere, e farne una caratteristica di esso, è un magnificare una visione razzista delle relazioni umane, ed è un pieno e totale ritorno a Lombroso, che identificava i criminali dalle fattezze fisiche.
E’ dunque attitudine alla violenza, perché depersonalizza ogni individuo di quel sesso (quello maschile, nel caso) e lo riduce ad un oggetto di studio.
Di più: è un regresso alle logiche psichiatriche degli anni sessanta, quelli delle lobotomie e degli elettrochoc, dal momento che identifica la violenza in un “bios” (il corpo dell’uomo) e non in un sistema, in un contesto culturale e/o antropologico.
Peggio ancora, consacra una visione manichea e ghettizzzante delle relazioni umane, con un ritorno ai temi del Medioevo, proponendo una donna che è l’imitazione terrena della Madonna: buona, Immacolata dal peccato, e che deve astenersi da contaminazioni col maschile.
Il “maschio” in quanto tale (e non il singolo uomo donna immerso in una coppia e in un sistema?) è violento per conservare il potere?
Nel 2003 uscì una ricerca ISTAT (*) secondo la quale 8 donne su 10 affermavano di avere lo stesso potere decisionale del partner maschile all’interno della coppia. Questa ricerca non viene più citata perché nega alla radice il fenomento della violenza maschile come violenza di un genere e per il potere.
E la violenza all’interno delle coppie lesbiche, perché non viene mai studiata e citata? Nelle coppie lesbiche non è raro trovare violenze terribili, ma il dato viene taciuto.
In sintesi: l’idea che ad essere violento nella coppia è solo il maschio, è una delle radici che sta legittimando sempre più figlicidi.
Quando il colpevole è maschio, lo si definisce un criminale. Quando è colpevole una donna o una madre, la si definisce una vittima.
Una preghiera per Loris, ucciso anche dai nuovi stereotipi politically-correct.
(*) CLICCA QUI PER LEGGERE E, FORSE, STUPIRTI: COME FANNO LE DONNE A SUBIRE TANTA VIOLENZA SE QUASI 8 SU 10 AFFERMANO DI CONTARE QUANTO L'UOMO?