23 novembre 2012

Sentenza rivoluzionaria a Firenze: per la prima volta il "Diritto" si arresta alle esigenze della genitorialità

E' quanto ottenuto da un padre fiorentino, Fabio Barzagli, musicista, autore multimediale, ma anche studioso dei problemi della paternità e titolare del sito www.paternita.info

Fabio Barzagli era rimasto "vittima" di una sentenza che amputava drasticamente le sue frequentazioni con la piccola figlia: a dire del magistrato, infatti, Barzagli avrebbe potuto vedere la piccola solo per tre ore al mercoledì. 


Fabio si è semplicemente rifiutato di eseguire la sentenza, trattenendo con sé la bambina per la notte e riportandola il giorno dopo. Una cosa che molti padri sognano di fare


E, testardamente, ogni volta che i carabinieri, allertati dalla solerte madre della piccola, si erano recati a casa sua per contestare l'elusione del provvedimento del giudice, Barzagli aveva sempre ripetuto che lui non riconsegnava la bambina non per opporsi ad una sentenza ma per poter fare al meglio il padre. 


Ovviamente denunciato e ovviamente trascinato in giudizio, Barzagli ha viusto lo stesso PM sposare la sua tesi: tanto che la stessa accusa ne ha chiesto l'assoluzione. 
Così ha commentato il legale di Barzagli, l'avvocato Elisabetta Bavasso:

"La vittoria della ragionevolezza, un ottimo provvedimento pilota. Si tratta in ogni caso di una sentenza innovativa, che prelude a una giurisprudenza più attenta alle aspettative dei genitori svantaggiati nella frequentazione dei figli (quasi sempre i padri), sollecitando norme più equilibrate ... 
Aspettiamo le motivazioni - ma sembra che il giudice abbia valutato i comportamenti del padre non come disobbedienza al provvedimento giudiziario, bensì come proseguimento del dovere di cura verso la figlia. Cenare insieme, mettere a letto, raccontare una favola, svegliare, fare colazione, portare a scuola. Come avrebbe motivato l’addio improvviso? Come dirle: da oggi non resti più a dormire da papà, staremo insieme solo 3 ore? E come avrebbe reagito la bambina?".


E' comunque la prima volta che il Diritto sancisce di dover limitare la propria intrusività rispetto all'esercizio della genitorialità, che qui viene di fatto definita come fondata, sia pure parzialmente, su regole proprie ed autonome



Qui sotto il video con la notizia


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21 ottobre 2012

Un documento per dichiarare: l'esclusione immotivata di un genitore dalla vita di un figlio è un fenomeno grave e su cui intervenire


Sono firme abbastanza importanti della psichiatria forense e della psicologia giuridica quelle che hanno firmato questo documento.
Anche se, a chi è addentro ai lavori, è chiaro che alcuni nomi importanti del settore sono -immotivatamente!- stati esclusi, per via delle possibili -anzi, probabili...!- lotte interne alle società di Psicologia Giuridica e Criminologia.


Nonostante assenze importanti, che sono sicuramente schierate sulle stesse posizioni del documento (dov'è l'AIPG, ad esempio?), quanto affermano i firmatari di questo testo -che sono nomi fondamentali nel campo della psicologia giuridica e della psichiatria forense: Malagoli Togliatti e Gullotta, Camerini, Sabatello, e via dicendo, son nomi che a toprto o ragione fanno testo- quanto affermano i firmatari di questo testo è fondamentale per chiarire un punto fermo (nel quale personalmente mi ritrovo in pieno): 

- il problema dell'esistenza  del fenomeno noto come “alienazione genitoriale”, è mal posto

- la comunità scientifica è concorde nel qualificare le dinamiche psicologiche che conducono all'alienazione di un genitore come un disturbo della relazione e non come un disturbo individuale: un disfunzionamento familiare al quale contribuiscono tre soggetti:  genitore “alienante”, quello “alienato” ed il figlio;

- dunque andrebbe evitato il termine “sindrome di alienazione genitoriale”, risultando preferibile sostituirlo con il termine “Alienazione Parentale”, con il quale sarà probabilmente introdotto nel DSM V tra i “Disturbi Relazionali”; 

- il dibattito sull'esistenza o meno della PAS appare però, in questa prospettiva, del tutto fuorviante, perché l’esistenza del costrutto non giustifica gli interventi a riguardo ma la sua insussistenza non li esclude affatto;

- i dati che emergono dagli studi e dalla pratica peritale sul campo convergono infatti nell'indicare che l’alienazione parentale rappresenta un fattore di importante rischio evolutivo per l’instaurarsi di diversi disturbi di interesse psicopatologico;

- non si può dunque mettere in discussione la necessità di intervenire, sul piano psicosociale e giudiziario, allorquando si realizzi l’esclusione immotivata di un genitore dalla vita di un figlio non legata a comportamenti realmente maltrattanti o trascuranti da parte del genitore stesso, ma a partire da induzioni dirette o indirette provenienti dall'altro genitore


Nella restante parte di post tutto il testo in questione con i relativi firmatari

A CURA DEL:

- CENTRO STUDI SEPARAZIONI E AFFIDO MINORI
- OSSERVATORIO PERMANENTE CONTRO GLI ABUSI PERITALI
§ - Roma, in Piazza dei Re di Roma 3. 067017455 - 393.33.20.419
§ - Milano, Via Cimarosa n 13- – tel./fax. 02.39400897 - cell.3472583764
§ - A Reggio Emilia: via Che Guevara n 55 - tel. 347.2583764

Il "Centro Studi Separazioni e Affido Minori" (e l' “Osservatorio Permanente contro gli Abusi Peritali”) sono formato da colleghi psicologi e medici uniti tra loro da un solo vincolo culturale e di colleganza professionale, e -fatto determinante- non uniti da alcun aspetto associativo formalizzato.

Quello che unisce i colleghi sono solo "conoscenze" da condividere e l'Etica con cui utilizzarle.

Il Centro e l'Osservatorio non offrono direttamente Consulenze Legali.


20 ottobre 2012

Bambino strappato alla madre o madre che strappa le sentenze?


Il dr. Marco Muffolini, è dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche.
Informatico, è Consulente del Centro Studi Separazioni e Affido Minori per i contenuti informatici e multimediali.
Laureatosi con una tesi dal titolo “Vedere come pratica sociale: analisi e discussione di un articolo scientifico” per la Cattedra di Tecnologie per la collaborazione e la formazione, è l'esperto che analizza e studia i video e i documenti multimediali che arrivano al Centro Studi.
La sua collaborazione è stata determinante per risolvere diversi casi -come ad esempio alcuni di “falsi abusi” - nei quali i video e gli audio forniti in realtà rivelavano informazioni sfuggite alle prime, in alcuni casi ufficiali, non approfondite analisi.
Specialista in analisi delle comunicazioni, ha scritto per questo blog un articolo dal titolo e dal contenuto illuminanti.

- CENTRO STUDI SEPARAZIONI E AFFIDO MINORI
- OSSERVATORIO PERMANENTE CONTRO GLI ABUSI PERITALI
§ - Roma, in Piazza dei Re di Roma 3. 067017455 - 393.33.20.419
§ - Milano, Via Cimarosa n 13- – tel./fax. 02.39400897 - cell.3472583764
§ - A Reggio Emilia: via Che Guevara n 55 - tel. 347.2583764

Il "Centro Studi Separazioni e Affido Minori" (e l' “Osservatorio Permanente contro gli Abusi Peritali”) sono formato da colleghi psicologi e medici uniti tra loro da un solo vincolo culturale e di colleganza professionale, e -fatto determinante- non uniti da alcun aspetto associativo formalizzato.

Quello che unisce i colleghi sono solo "conoscenze" da condividere e l'Etica con cui utilizzarle.

Il Centro e l'Osservatorio non offrono direttamente Consulenze Legali.


19 ottobre 2012

Radio Radicale: il bambino conteso di Padova

Martedì 16 ottobre, a Radio Radicale, importante trasmissione sul bambino conteso di Padova.

Come ovviene ogni due martedì, Diego Sabatinelli e l'avvocato Alessandro Gerardi, alle 22.15 circa, si incontrano con i loro ospiti sui temi della separazione coniugale e del divorzio.

Questa volta in studio, a parlare del piccolo di Padova tolto alla madre attraverso l'esecuzione di una azione di Polizia Giudiziaria (stante il rifiuto della stessa a darlo al padre), si incontrano con i due conduttori: Gaetano Giordano, Loretta Ubaldi (criminologo, pedagogista forense), Paola Tomarelli (avvocato), e Fabio Nestola (presidente Fenbi e Stati Generali della Giustizia Familiare).

Dopo un colto e approfondito dibattito (del quale gli altri massmedia e programmi televisivi ci hanno clamorosamente privato), inizia una vivace discussione tra l'On. Pannella ed il dr. Giordano. Ovvio punto di discussione: la liceità dell'intervento sul bambino ed il suo essere un individuo che esprime una propria autodeterminazione.

CLICCA QUI PER ASCOLTARE IL PROGRAMMA

La foto, scattata al volo, è di Alessandro Calafiore, che collabora come fotografo con il Centro Studi Separazioni e Affido Minori per la documentazione fotografica.    

16 ottobre 2012

BAMBINO DI PADOVA: COME L'ITALIA DIVENTA UNA CULLA D'ILLEGALITA'

OVVERO...


...Ovvero come Mamme, Mamme santissime, Zie, Nonni, possano scatenarsi allegramente all'assalto di Polizia, Magistratura, Bambini, Sentenze e Decreti col consenso e l'aiuto di Belle Presentatrici (*), Onorevoli, Trasmissioni (a reti bipartizan!) alla ricerca di audience.

Mentre tutti siamo bravissimi a piangere su come in Italia le sentenze e le leggi restino sempre cartastraccia e le Mamme di Fiorito vengano a dirci che i loro figli, ahimè, non hanno fatto niente

12 ottobre 2012

Il bambino di Padova. Qual è la vera violenza che ha subito?

Un articolo della professoressa Maria Cristina Verrocchio, professore aggregato alla Università di Chieti  di Psicologia Clinica Forense.Perché è ora di interrogarsi su un punto: qual è la vera violenza che il piccolo Leonardo di Padova, sottratto alla madre, ha subito davvero?


11 ottobre 2012

Chi l'ha visto un vero modo di informare in caso di Mobbing Genitoriale?


Certo non l'ha visto chi ha assistito alla puntata di ieri, 10 ottobre 2012, di “Chi l'ha visto?”.

Il modo con cui, nella puntata in questione è stata presentata la tragica vicenda del bambino prelevato in provincia di Padova dalla Polizia di Stato per esser consegnato al padre, e delle drammatiche modalità con cui si è svolto il prelievo, è infatti, secondo noi un grave e terribile esempio di disinformazione.

Le immagini del prelievo apparentemente parlavano chiaro.
Urla, strilla, il piccolo di dieci anni che si dibatte disperatamente. Gli agenti che lo tirano via.
Pianti, strilla, richieste di aiuto con la voce di un bambino che a quell'ora doveva stare a scuola.

Tutto molto semplice.
Appunto: troppo semplice.

La vera disinformazione di "Chi l'ha visto?" è consistita appunto nel mostrare solo queste scene.

Troppo comodo, come sistema.

Come troppo semplice e comodo, troppo disinformante, veramente disinformante, è stato utilizzare la logica per la quale si stigmatizzavano solo le modalità del prelievo.

Senza far in alcun modo presente, e dunque occultandolo alla consapevolezza degli ascoltatori ignari di queste vicende, che se si è arrivati ad una situazione del genere, precedentemente a questo episodio vi è stato tutto un inanellarsi di eventi e situazioni, comportamenti e prese di posizione, che hanno portato il bambino a rifiutare pesantemente tutta una parte di sé e della propria vita, cioè l'altro genitore, quello che è stato costretto a ricorrere a mezzi simili, evidentemente non avendone altri.

E non si può non pensare che la responsabilità di tutto ciò non gravi proprio, almeno in parte o in gran parte, sulle spalle di chi, nel filmato, strillava che i bambini non si portano via così.

Certo: ma non li si riducono così, non li si portano a rifiutare in modi così terribili i contatti con l'altro genitore.

E di questo non ne hanno certo colpa né la Polizia che eseguiva l'ordinanza, né il consulente che ha fornito il parere al magistrato che ha deciso, né quest'ultimo.

La chiave disinformativa, detto in altri termini, è consistita appunto nella parcellizzazione della informazione: tutta la vicenda è stata ridotta ai suoi ultimi minuti.

Tutto il dramma consisteva solo in quelle scene.

Il resto non aveva alcuna importanza: come si fosse arrivati a quel punto non meritava mezzo secondo di intervento.

E, così, è stato occultato il vero dramma del bambino, che è quello di essere stato portato fino a quel punto di sofferenza.

Quello era un bambino che avrebbe dovuto trascorrere del tempo con il padre, e che avrebbe dovuto volere gli incontri con lui.

E' stato ridotto da qualcuno ad un piccolo disperato essere che si ribella e si strazia all'idea di stare con il padre, e poi ci si lamenta di come urlava e strillava, e del fatto che è servita la Polizia per dare la potestà al padre.

Sicuramente gli autori del programma contesteranno, con molta superficialità, a nostro avviso, tale lettura della loro trasmissione, sostenendo che il loro intento era solo quello di mostrare che le modalità del prelievo sono state incongrue e mal organizzate.

Appunto. La disinformazione è proprio questa. Mostrare il dramma di quel "prelievo", scenicamente intenso, tale da far alzare bene lo share e gli ascolti, degli ultimi istanti del conflitto, senza minimamente chiedersi o far notare che se si è giunti a quel punto è perché ci sono pesantissime responsabilità di chi doveva educare in ben altro modo l'affettività del piccolo.

In questo modo lo spettatore è stato portato a stigmatizzare come terribile solo questa ultima minuscola frazione della vicenda, e non gli anni di tragedia e di conflitto che l'hanno preceduta e, soprattutto, senza prendere in alcuna considerazione che molto probabilmente dietro quelle urla e quegli strilli, prima di quel prelievo, ci sono stati – molto probabilmente - terribili omissioni educative, forse veri e propri lavaggi del cervello- da parte di chi doveva far crescere il piccolo in un sereno contatto con entrambe le figure genitoriali.

E' evidente che quel piccolo è stato in qualche modo condizionato a non volere alcun rapporto con l'altro genitore, quello a cui l'intervento della Polizia lo consegnava, per ridarlo alla sua potestà.

Ma "Chi l'ha visto?" non ha in alcun modo accennato alle responsabilità di chi avrebbe dovuto educare il bambino all'affettività verso entrambi le figure genitoriali, trasformandolo in un piccolo che per andare con uno dei due doveva essere prelevato dalla Polizia.

"Chi l'ha visto?" si è assunto così una terribile responsabilità: ha occultato che vicende del genere possono nascere solo quando l'atteggiamento di chi cresce il bambino lo espone -e forse lo immerge pienamente- alla conflittualità dell'uno contro l'altro, trasformandolo in un combattente senza armi arruolato in uno schieramento che potrebbe non essere meno feroce, in senso psicologico, degli eserciti che arruolavano i soldati-bambini.

Perché gli autori del programma non hanno mostrato nulla della storia che precedeva quell'intervento?

Perché si sono focalizzati solo sull'intervento della Polizia, e non hanno minimamente fatto presente che se un bambino arriva a comportarsi in quel modo, e soprattutto a dover essere oggetto di un intervento del genere, è perché gli adulti che dovevano educarlo all'amore verso entrambi le figure genitoriali, hanno operato invece, molto probabilmente, esattamente al contrario, cioè inducendolo ad odiare uno dei due, col risultato di costringere Tribunali e Polizia?

Ci si è chiesto qual è stato il ruolo dei legali intervenuti nella vicenda, e se il loro operato abbia contribuito a rasserenare oppure ad esasperare i comportamenti che hanno portato poi il bambino a sviluppare questi atteggiamenti autolesivi?

Perché nulla di tutto questo è stato mostrato e detto?

Troppo comodo far parlare solo l'avvocato di una parte, troppo comodo mostrare solo l'ultima scena della tragedia senza puntare l'attenzione sulle responsabilità di chi viveva col bambino e l'ha probabilmente portato a quel rifiuto drammatico verso l'altro, troppo comodo permettere all'avvocato di una sola parte di intervenire, troppo comodo non approfondire in alcun modo le problematiche emerse nella Consulenza del professionista che ha consigliato quella soluzione, troppo comodo non sentire le motivazioni di questa consulenza e non chiedersi nemmeno se dicesse qualcosa di fondamentale, troppo comodo mostrare solo le ultime urla del bambino e non il suo strazio silenzioso di bambino arruolato in una guerra spaventosa, troppo comodo stigmatizzare l'ispettore di Polizia che diceva alla donna che urlava “Lei non è nessuno”.

Anche perché quell'ispettore di Polizia, una donna, aveva ragione.

La donna che parlava non aveva alcun titolo ad intervenire. E invece, a quanto sottolineano invece i giornali, era la solita nonna che invece di far opera di pacificazione e serenità, si è messa -a quel che riferiscono i quotidiani- a lottare contro l'intervento della Polizia, che eseguiva il volere di un Tribunale.
Un Tribunale che -e "Chi l'ha visto?" non ha per nulla approfondito questo aspetto- ha pensato di dare al padre del piccolo la piena potestà sul bambino. Evidentemente per motivi che dovevano avere una certa validità.
E di cui "Chi l'ha visto?" ci ha omesso tutto.

La chiave è dunque questa: è mistificatorio additare come terribile solo gli ultimi istanti di una tragedia quando, se si è giunti a quel punto, devono esserci terribili responsabilità negli adulti che hanno accompagnato la vita di quel piccolo, e molto probabilmente soprattutto negli adulti che l'hanno portato a rifiutare con tanta tragedia la vita con uno dei due.

Un pessimo, veramente pessimo, esempio di disinformazione.

dr. Gaetano GIORDANO

LA NOTIZIA SUL "CORRIERE DEL VENETO". CLICCA QUI PER LEGGERLA

27 settembre 2012

Il convegno dell'AIPG è davvero uno specchio della psicologia giuridica italiana.

Uno specchio tragico


...Un convegno che vuole consapevolmente ignorare che non esiste solo il lato oscuro della genitorialità ma anche, e forse è anche più importante, il lato oscuro del professionista -e del sistema- che si occupano del genitore. 

Un convegno che è, soprattutto, la proiezione ed il risultato del loro "lato oscuro". 


Perché dimostra -prima di tutto- la volontà di questo sistema e di questi operatori di ignorare il risultato ottenuto dal loro operare.

Un  convegno, insomma, che è un vero specchio.

Basta scorrere il titolo degli interventi per rendersi conto di come -e quanto- il XIV Congresso dell'Aipg, che si terrà il diciannove ottobre del 2012, rispecchi la drammatica, a nostro parere, situazione della psicologia giuridica italiana in tema di problematiche della famiglia.
Il  convegno  si intitola “QUANDO IL MALE E' GIA' FATTO - Le ombre e il lato oscuro della genitorialità”.

E il punto è che affronta -come al solito- il solito tema della inadeguatezza genitoriale, inclusa quella legata alla conflittualità divorzile, nei soliti e ragnatelizzati modi, modelli, e mondi che così si creano per separarsi.

Nel senso che anche questo  convegno affronta il problema del disagio della coppia genitoriale, e delle ripercussioni di questo sul minore senza minimamente uscire dall'ottica -vetusta e comunque (e soprattutto) antiscientifica- di quanto i cattivi (o i malati) siano sempre e comunque (e soprattutto solamente) i genitori.

Al proposito, basta scorrere l'elenco degli interventi:
- Dalla crisi delle relazioni al reato. I rischi per il minore in ambito familiare
- Il maltrattamento nell’infanzia: il difficile compito di fare luce sul sommerso
- Strategie perverse della relazione
- Esperienze traumatiche tra memoria e transfert
- Violenza assistita e responsabilità genitoriali
- La cura delle infanzie infelici.

Un elenco che esclude categoricamente qualsiasi accenno a ipotesi che mettano il "professionista" o il "dipendente" (o il "funzionario") che operano nelle separazioni, e il sistema che li comprende e ne regola l'attività, al centro o quanto meno all'interno del disagio del "genitore", attribuendo loro una qualche minima responsabilità.

Il solito scorrere di temi appunto vieti e vetusti, dall'elencazione dei quali emerge il solito punto di vista, strutturato sulla consueta polarità (che è poi, di fatto, una contrapposizione) della famiglia maltrattante, composta dai genitori da studiare e dal povero bimbo traumatizzato dagli stessi da curare, e -all'altro capo di questo mondo così creato- dell'esperto che pensa a come intervenire e a come salvare l'innocente vittima.

Un punto di vista che ignora -volutamente- come il disagio genitoriale non possa esser attribuito alla sola coppia genitoriale, ma vada letto considerando le influenze sistemiche di tutto il contesto culturale, sociale, normativo, giudiziario, assistenziale, operativo, nel quale è inserita la coppia genitoriale, un contesto che condiziona, legittima, promuove e facilita o rende difficili o impossibili, altre soluzioni e altri comportamenti, premiandone alcuni, imponendone altri, facilitandone altri ancora.

Lo stesso punto di vista -scientificamente incongruo, disfunzionale, patologizzante, e ad altro tacere- che mesi fa è stato fatto dalla “concorrenza” (ci si passi il termine ...conflittivo) dell'AIPG, che si è radunata a Milano sotto altre bandiere per coordinare quello che -a chi scrive- appare una felice scelta di marketing professionale: la stesura, dopo il felice successo della cd “Carta di Noto”, di un possibile “Protocollo per l’affidamento dei figli”. Un protocollo che, però, aveva -almeno in fieri- l'ipotesi di puntualizzare che anche il consulente che interviene è, in qualche modo, parte del processo che si propone di dirimere (e che crede di osservare), tanto che lo si deve appunto munire di “Linee guida”.

Non sappiamo quale seguito operativo abbia avuto da allora l'ipotesi della stesura di tali linee guida “sull'affidamento dei figli” (e non ci sembra ne abbia avuto granché): certo che a legger i nomi dei convenuti non si stentava a credere che -qualora le avessero stilate- sarebbero stati in grado di farle valere nella stragrande maggioranza dei procedimenti di separazioni e divorzi in svolgimento nelle più importanti città italiane.

Con quali risultati e quali logiche non è dato da sapere, come non è dato sapere quali “linee guida” avessero osservato sino a questo momento.

Emblematico però constatare come professionisti di enorme spessore nel campo della psicologia giuridica penalistica si cominciassero ad occupare anche di temi fino ad allora mai trattati, vale a dire appunto l'affidamento dei figli nelle cause di separazione, temi fino a pochi anni prima da loro assolutamente non praticati. Altrettanto emblematico che lo facessero ricorrendo appunto alla stesura di “Linee Guida”, quasi utilizzando un logo professionale che era stato di gran successo nell'ambito della testimonianza minorile in sede penale.
Simpatico quanto una ciliegina su una torta constatare come il depliant di quel  convegno annunciasse, a fine elenco di interventi, che la redazione delle linee guida sarebbe avvenuta “alla sola presenza dei relatori”.

Chissà perché nessuno degli altri convenuti poteva partecipare né ascoltare.

Resta comunque l'ipotesi di fondo: molto difficilmente tali esperti vogliono considerare sé stessi come una parte determinante del problema su cui intervengono.

Se la stesura di linee guida, dunque, in realtà presuppone che in qualche modo l'esperto debba dotarsi di strumenti di autoregolazione, il novello convegno AIPG sembra negare la validità di qualunque “lettura” che includa nel contesto da osservare anche l'osservatore ed il ruolo che ha nel determinare il fenomeno.

Facciamo dunque un salto indietro di circa sessanta anni e più, negando appunto che l'esperto del problema sia anche una parte dello stesso.

Lo facciamo soprattutto se si considera il tragico paradosso su cui si fonda la giustizia della separazione e del divorzio, che vede come regola chiave di gestione del conflitto separativo e divorzile la regola chiave di gestire il conflitto attraverso un conflitto ancora più grave e ancora più fondante e incisivo sui comportamenti della coppia e del minore, vale a dire attraverso il conflitto giudiziario.

Così come lo stesso errore lo si fa se si ignora tutto il problema dell'intervento professionale nei casi di disagio minorile, e di quanto la preparazione dei professionisti e degli impiegati che partecipano a tale intervento, la loro competenza e la loro capacità di incidere sul fenomeno che credono di osservare, la loro onestà (diciamolo, una volta tanto) e la possibile strumentalizzazione del disagio ad opera di terzi e di strutture interessate (sia in contesti di contenzioso familiare, sia per quanto riguarda l'indotto economico e professionale che la gestione di tale disagio crea e forse alimenta), vadano poi ad incidere sui comportamenti che si credono di osservare e che ci si candida a risolvere.

Postulare dunque un  convegno  nel quale si parla de “Le ombre ed il lato oscuro della genitorialità” senza nemmeno ipotizzare che si debba anche affrontare il contesto socioculturale (e normativo) nel quale tali lati oscuri si esprimono, e vengono gestiti, significa ignorare oltre sessanta anni di epistemologia, di scienza della complessità, di irrinunciabili acquisizioni scientifiche.

Segmentando i nessi causali, che sono circolari perché relazionali, e linearizzando e puntualizzando i percorsi di causa-effetto si riesce infatti ad attribuire alla coppia “genitoriale” (che come tale è entità artificiale estrapolata da un contesto ben più ampio) “colpe” e “responsabilità” che emergono sì dalla loro “osservazione” ma che, come ogni nesso di relazione, appartengono in realtà a tutto il contesto nel quale si esprimono.

Ad esempio, e giusto per fare un velocissimo raffronto, non si ipotizza nemmeno lontanamente di esplorare cosa sarebbe di una “coppia genitoriale abusanteperché conflittiva (questo, ad esempio in tema di violenza assistita) se la conflittualità “della coppia” (che invece è una conflittualità di tutto un sistema basato sul conflitto!) trovasse sbocco (e sapesse anticipatamente di dover trovare sbocco) non in un contesto antagonistizzante come quello giudiziario, ma in una dimensione del tutto differente, nella quale prevalessero, insieme a logiche normative e premianti (o punitive, in casi di colpa), anche logiche mediative e cliniche.

In altri termini, molti comportamenti di una coppia vengono assolutizzati a
indicatori di un "conflitto in atto", solo in virtù del loro essere connessi ad un sistema nel quale sono leggibili come tali. Occorre dunque concludere che è il voler dare al conflitto coniugale una risposta in termini di una determinata modalità di
commistione fra "diritto" e "psicologia", e dunque di un contenzioso basato sui torti e
le ragioni cercati nei significati dell'indecidibilità dei significati, che permette di
assolutizzare e far ritenere "oggettivamente" "aggressivi" e indicatori di conflitto certi comportamenti che intercorrono tra due persone che stanno modificando la loro relazione, le quali, in altri contesti socioculturali (non ultimo: quello ad esempio di un'Italia di 50 anni fa) avrebbero cercato tutt'altra risposta. (P. Capri, G.Giordano - Compatibilità e contaminazioni. Ruolo degli operatori giuridici in tema di affidamento minorile. TEMA - Rivista di Psicoanalisi clinica e forense,  Ed. Sapere, Padova, n° 1, gennaio 1999 - http://www.centrostudi-ancoragenitori.it/mediazione-familiare/tra-perizie-di-mediatori-e-mediazioni-tra-periti.html)

Un  convegno  come questo sembra dunque in grado solo di rispecchiare le incapacità di tutto un settore scientifico a osservare più nitidamente (o, anche: più onestamente?) le regole del contesto di cui si occupa, e a segmentare in modo paradossale responsabilità e cause che solo attraverso un'operazione cognitiva quasi schizoide possono essere attribuite solo ad una parte del contesto (la coppia genitoriale, immersa in realtà in un contesto normativo e socioculturale che ne condiziona ampiamente vincoli e possibilità, e capacità di significazione).

Un convegno dunque che è il perfetto specchio di un sistema tragico, un  sistema che vuole consapevolmente ignorare che non esiste solo il lato oscuro della genitorialità ma anche, e forse è anche più importante, il lato oscuro del professionista e del sistema che si occupano del “lato oscuro” genitore.

Che è, soprattutto, la proiezione ed il risultato del loro "lato oscuro".

Dr. Gaetano GIORDANO

26 luglio 2012

La Donna è una Madonna.

...Trascinata verso un Nuovo Oscurantismo


Ci sono due punti che a mio avviso è necessario chiarire allorché si discute del problema del “No alla violenza sulle donne”.
Chi ha una posizione “non-femminista”, non nega le cifre del femminicidio, né la gravità degli eventi omicidiari che ne sono alla base.
E da questo punto di vista occorre esser molto chiari: dire che chi parla in questo modo nega le cifre del femminicidio, è un comodo modo per criminalizzare il suo punto di vista, senza rispondere ai dati e alle obiezioni che porta (lo si fa diventare un negazionista che non non ha argomenti: cosa falsa).

Il problema è invece che oltre al femminicidio c'è una violenza nella coppia che è bidirezionale e appannaggio anche del genere femminile, che nella nostra società anche la donna è violenta quanto l'uomo, e che chi ragiona da “non-femminista” dà di tutto questo una spiegazione diversa (fatto fino a prova contraria permesso, in democrazia) del problema della violenza sulle donne.

Questa spiegazione è che la violenza nella coppia è appunto bidirezionale e simmetrica, e dipende dai nostri "valori" (meglio: "disvalori") culturali del momento.
Non è una violenza di genere, ma una violenza di relazione, ed emerge nelle relazioni perché la nostra è una cultura che non sa più gestire le frustrazioni e il crollo delle aspettative.
Da questo punto di vista il personale riferimento di chi scrive è, ad esempio, a Zygmunt Bauman.
Aggiungendo poi che, a mio parere, questa divisione fra “violenza di coppia” e “violenza nella strada”, “violenza negli stadi”, “violenza in...”, rischia di essere un pericolosissimo modo per banalizzare un fenomeno non inquadrandolo nella sua realtà globale, cioè non individuandone le radici all'interno del nostro insieme di valori ma escogitare ogni volta una spiegazione diversa (i tifosi sono violenti, gli automobilisti sono cattivi, e via di seguito) che occulta molto bene come tutto ciò dipenda invece dalla nostra personale partecipazione ad una cultura portatrice di violenza (spesso, proprio quando ostenta la lotta contro la violenza).
Agli eccezionali contributi di Bauman personalmente aggiungo una specifica: vedo nella violenza il modo che la nostra società da sempre ha di liberarsi della relazione o dei comportamenti sgraditi o non più appaganti.

Vediamo difatti la violenza nelle coppie eterosessuali ma anche nelle coppie omosessuali (un mio paziente è un omosessuale vittima di stalking da parte di un suo ex partner) ma abbiamo anche donne violente (una mia paziente, non lesbica, è una stalker accanita; un'altra mia paziente lesbica era continuamente brutalizzata dalla propria compagna quando tentava di allontanarsene)..
Vediamo la violenza dappertutto: per strada, nei parcheggi, nelle discoteche. Ci si ammazza e ci si fa male per tutto: non solo nella coppia.
Esistono i bulli maschi, ma anche tante bulle, e tante cyber bulle.

Tutto questo coincide con molti studi (citati in questo articolo: segui link), e corrisponde poi al dato (anche esso incontrovertibile: è un dato ISTAT) che 7/8 donne su 10 sentono di avere nella coppia lo stesso potere decisionale del proprio partner, e via di seguito. E soprattutto corrisponde alla cronaca quotidiana.

Secondo me, dunque (e qui viene il bello), identificare il “maschio” come colpevole della violenza sulle donne non solo è falso, ma anche pericoloso e, mi si perdoni, razzista e -guarda un po'- soprattutto oscurantista.

Intanto, sappiamo bene qual è il potere della vittima allorché -in nome del proprio esser vittima- chiede, che ne sia consapevole o no, una situazione di privilegio: in questo momento, tanto per fare un esempio, proprio i palestinesi pagano la realtà (e sottolineo: la realtà) di vittima del popolo ebraico.

Vi è poi un altro punto, da prendere in considerazione: la donna descritta da chi individua nel “maschio” il violento per genere, è una donna che corrisponde pienamente ai dogmi medievali, che vedono nella donna una immagine terrena della Madonna.

Che piaccia o no, la donna che si descrive in questi articoli è infatti Immacolata Concezione (nel senso che è priva di colpe e peccati: non sbaglia mai e nessuna parte in causa ha nel fenomeno della violenza), è sempre Martire (ha sempre e solo il ruolo della vittima), è Vergine (lo intendo in senso psichico: non vuole esser mentalmente, psicologicamente, affettivamente contaminata dai valori e dalle attitudini maschili, e rifiuta dunque una completezza per anelare ad una perfezione interiore).

A questa visione medievale della donna (che in realtà più di prima diventa allora prigioniera della propria impossibilità ad avere difetti e fare errori, ad avere colpe e ad assumersene responsabilità), si associa un'altra logica oscurantista, criminalizzante e psichiatrizzante.

Il 1968 ci aveva (definitivamente, almeno) spiegato che Lombroso era un inventore di assurdità: ma per il femminismo estremo, è il maschio maschio in quanto tale che è geneticamente portato alla violenza.
Perché un'altra mistificazione nasce proprio qua, da questo utilizzo delle teorie lombrosiane (o desunte dalla stessa epistemologia del Lombroso), rieditate come moderne attraverso un negato risciacquo nei fiumi (occulti) della sociobiologia.
E la mistificazione è che se si assume come ipotesi che il maschio sia violento “perché maschio”, sia che si voglia attribuire a tale natura di “violento” un percorso culturale e antropologico sottostante, sia che lo si dichiari come caratteristica implicita del maschile, si finisce in ogni caso per arrivare ad una spiegazione genetica della violenza maschile. Violenza che, e da questa spiegazione non se ne esce più, nasce come tale per via della maggior forza fisica dell'uomo rispetto alla donna.
Il che implica che da questo punto di vista questo femminismo estremo sta utilizzando davvero la logica che sottostava alle ideologie fondate sulla “biologia della razza”.
Il che significa allora essere pericolosamente, molto pericolosamente, vicini al vero nazismo.

Non se ne esce fuori, da questa logica, appunto perché se la violenza è di genere (e non degli individui), le sue radici affondano nella dimensione fisica, che ha improntato di sé l'eventuale esprimersi in valori culturali (il maschio è violento come genere perché fisicamente più forte, non essendoci altra spiegazione all'assunto. Tacendo sul fatto che ciò implica che è l'essere umano in sé ad approfittarsi della forza: erano tutti maschi i tenutari di Green Hill?)

Concepire la violenza come appannaggio del “genere maschile” appartiene dunque, nella mia opinione, alla più spaventosa e tragica epistemologia umana, quella da cui poi nasce la criminologia del Lombroso e la sua visione dell'essere umano, e, per di più, tutte le scienze della razza (in questo caso: le scienze della razza femminile verso quella maschile).
Il 1968 ci aveva poi spiegato che non esiste l'individuo “folle” (o violento, o criminale) in quanto tale, che il problema dei comportamenti devianti (in senso psichiatrico quanto criminale) non potesse esser cercato in una inesistente “monade” umana, ma in tutto il “sistema” nel quale siamo immersi e di cui condividiamo le regole (famiglia inclusa: ad esempio, noi sappiamo che molti comportamenti sono frutto delle modalità con cui la madre riesce a far elaborare al figlio le frustrazioni che nascono dal contatto con la realtà: ma nessuno pensa mai che dietro un uomo (e una donna!) violento possano esserci con estrema facilità madri che li abbiano infantilizzati, e padre parimenti disfunzionale: tutto viene ricondotto sbrigativamente alla sola colpa di “esser maschio” ).
Al momento, si assiste invece ad un riduzionismo estremo (il maschio è colpevole, tutte le altre spiegazioni e gli altri approfondimenti non solo sono bandite: sono eresia!), riduzionismo estremo che nega ogni valore alle relazioni e alle regole delle relazioni come portatrici di disvalori, e criminalizza solo l'anello finale (finale, ma non unico, dicono gli studi) di un problema gravissimo che esprime in realtà molto bene sia il peso dei disvalori della nostra cultura, sia come per l'ennesima volta la negazione di questi disvalori avvenga attraverso la proiezione razzista (generatrice per definizione di lager: concreti o del pensiero) su una categoria incaricata di sentirsi colpevoli per tutte le brutture umane (una volta erano i negri, poi lo son stati gli ebrei, prima ancora forse le donne, oggi, però, da criminalizzare sono i maschi).

La mia impressione è che qui si attribuisca la violenza sulle donne alla “malvagità” del nuovo mostro di questi anni (il maschio) e che questa interpretazione (sottolineo: interpretazione) riporti invece indietro di secoli, e verso posizioni razziste, intolleranti, criminalizzanti, dogmatiche, l'orologio delle scienze sociali e, soprattutto, del ruolo della donna.
Donna che, così, rischia di diventar sempre più vittima di nuovi oscuri dogmi.