27 settembre 2012

Il convegno dell'AIPG è davvero uno specchio della psicologia giuridica italiana.

Uno specchio tragico


...Un convegno che vuole consapevolmente ignorare che non esiste solo il lato oscuro della genitorialità ma anche, e forse è anche più importante, il lato oscuro del professionista -e del sistema- che si occupano del genitore. 

Un convegno che è, soprattutto, la proiezione ed il risultato del loro "lato oscuro". 


Perché dimostra -prima di tutto- la volontà di questo sistema e di questi operatori di ignorare il risultato ottenuto dal loro operare.

Un  convegno, insomma, che è un vero specchio.

Basta scorrere il titolo degli interventi per rendersi conto di come -e quanto- il XIV Congresso dell'Aipg, che si terrà il diciannove ottobre del 2012, rispecchi la drammatica, a nostro parere, situazione della psicologia giuridica italiana in tema di problematiche della famiglia.
Il  convegno  si intitola “QUANDO IL MALE E' GIA' FATTO - Le ombre e il lato oscuro della genitorialità”.

E il punto è che affronta -come al solito- il solito tema della inadeguatezza genitoriale, inclusa quella legata alla conflittualità divorzile, nei soliti e ragnatelizzati modi, modelli, e mondi che così si creano per separarsi.

Nel senso che anche questo  convegno affronta il problema del disagio della coppia genitoriale, e delle ripercussioni di questo sul minore senza minimamente uscire dall'ottica -vetusta e comunque (e soprattutto) antiscientifica- di quanto i cattivi (o i malati) siano sempre e comunque (e soprattutto solamente) i genitori.

Al proposito, basta scorrere l'elenco degli interventi:
- Dalla crisi delle relazioni al reato. I rischi per il minore in ambito familiare
- Il maltrattamento nell’infanzia: il difficile compito di fare luce sul sommerso
- Strategie perverse della relazione
- Esperienze traumatiche tra memoria e transfert
- Violenza assistita e responsabilità genitoriali
- La cura delle infanzie infelici.

Un elenco che esclude categoricamente qualsiasi accenno a ipotesi che mettano il "professionista" o il "dipendente" (o il "funzionario") che operano nelle separazioni, e il sistema che li comprende e ne regola l'attività, al centro o quanto meno all'interno del disagio del "genitore", attribuendo loro una qualche minima responsabilità.

Il solito scorrere di temi appunto vieti e vetusti, dall'elencazione dei quali emerge il solito punto di vista, strutturato sulla consueta polarità (che è poi, di fatto, una contrapposizione) della famiglia maltrattante, composta dai genitori da studiare e dal povero bimbo traumatizzato dagli stessi da curare, e -all'altro capo di questo mondo così creato- dell'esperto che pensa a come intervenire e a come salvare l'innocente vittima.

Un punto di vista che ignora -volutamente- come il disagio genitoriale non possa esser attribuito alla sola coppia genitoriale, ma vada letto considerando le influenze sistemiche di tutto il contesto culturale, sociale, normativo, giudiziario, assistenziale, operativo, nel quale è inserita la coppia genitoriale, un contesto che condiziona, legittima, promuove e facilita o rende difficili o impossibili, altre soluzioni e altri comportamenti, premiandone alcuni, imponendone altri, facilitandone altri ancora.

Lo stesso punto di vista -scientificamente incongruo, disfunzionale, patologizzante, e ad altro tacere- che mesi fa è stato fatto dalla “concorrenza” (ci si passi il termine ...conflittivo) dell'AIPG, che si è radunata a Milano sotto altre bandiere per coordinare quello che -a chi scrive- appare una felice scelta di marketing professionale: la stesura, dopo il felice successo della cd “Carta di Noto”, di un possibile “Protocollo per l’affidamento dei figli”. Un protocollo che, però, aveva -almeno in fieri- l'ipotesi di puntualizzare che anche il consulente che interviene è, in qualche modo, parte del processo che si propone di dirimere (e che crede di osservare), tanto che lo si deve appunto munire di “Linee guida”.

Non sappiamo quale seguito operativo abbia avuto da allora l'ipotesi della stesura di tali linee guida “sull'affidamento dei figli” (e non ci sembra ne abbia avuto granché): certo che a legger i nomi dei convenuti non si stentava a credere che -qualora le avessero stilate- sarebbero stati in grado di farle valere nella stragrande maggioranza dei procedimenti di separazioni e divorzi in svolgimento nelle più importanti città italiane.

Con quali risultati e quali logiche non è dato da sapere, come non è dato sapere quali “linee guida” avessero osservato sino a questo momento.

Emblematico però constatare come professionisti di enorme spessore nel campo della psicologia giuridica penalistica si cominciassero ad occupare anche di temi fino ad allora mai trattati, vale a dire appunto l'affidamento dei figli nelle cause di separazione, temi fino a pochi anni prima da loro assolutamente non praticati. Altrettanto emblematico che lo facessero ricorrendo appunto alla stesura di “Linee Guida”, quasi utilizzando un logo professionale che era stato di gran successo nell'ambito della testimonianza minorile in sede penale.
Simpatico quanto una ciliegina su una torta constatare come il depliant di quel  convegno annunciasse, a fine elenco di interventi, che la redazione delle linee guida sarebbe avvenuta “alla sola presenza dei relatori”.

Chissà perché nessuno degli altri convenuti poteva partecipare né ascoltare.

Resta comunque l'ipotesi di fondo: molto difficilmente tali esperti vogliono considerare sé stessi come una parte determinante del problema su cui intervengono.

Se la stesura di linee guida, dunque, in realtà presuppone che in qualche modo l'esperto debba dotarsi di strumenti di autoregolazione, il novello convegno AIPG sembra negare la validità di qualunque “lettura” che includa nel contesto da osservare anche l'osservatore ed il ruolo che ha nel determinare il fenomeno.

Facciamo dunque un salto indietro di circa sessanta anni e più, negando appunto che l'esperto del problema sia anche una parte dello stesso.

Lo facciamo soprattutto se si considera il tragico paradosso su cui si fonda la giustizia della separazione e del divorzio, che vede come regola chiave di gestione del conflitto separativo e divorzile la regola chiave di gestire il conflitto attraverso un conflitto ancora più grave e ancora più fondante e incisivo sui comportamenti della coppia e del minore, vale a dire attraverso il conflitto giudiziario.

Così come lo stesso errore lo si fa se si ignora tutto il problema dell'intervento professionale nei casi di disagio minorile, e di quanto la preparazione dei professionisti e degli impiegati che partecipano a tale intervento, la loro competenza e la loro capacità di incidere sul fenomeno che credono di osservare, la loro onestà (diciamolo, una volta tanto) e la possibile strumentalizzazione del disagio ad opera di terzi e di strutture interessate (sia in contesti di contenzioso familiare, sia per quanto riguarda l'indotto economico e professionale che la gestione di tale disagio crea e forse alimenta), vadano poi ad incidere sui comportamenti che si credono di osservare e che ci si candida a risolvere.

Postulare dunque un  convegno  nel quale si parla de “Le ombre ed il lato oscuro della genitorialità” senza nemmeno ipotizzare che si debba anche affrontare il contesto socioculturale (e normativo) nel quale tali lati oscuri si esprimono, e vengono gestiti, significa ignorare oltre sessanta anni di epistemologia, di scienza della complessità, di irrinunciabili acquisizioni scientifiche.

Segmentando i nessi causali, che sono circolari perché relazionali, e linearizzando e puntualizzando i percorsi di causa-effetto si riesce infatti ad attribuire alla coppia “genitoriale” (che come tale è entità artificiale estrapolata da un contesto ben più ampio) “colpe” e “responsabilità” che emergono sì dalla loro “osservazione” ma che, come ogni nesso di relazione, appartengono in realtà a tutto il contesto nel quale si esprimono.

Ad esempio, e giusto per fare un velocissimo raffronto, non si ipotizza nemmeno lontanamente di esplorare cosa sarebbe di una “coppia genitoriale abusanteperché conflittiva (questo, ad esempio in tema di violenza assistita) se la conflittualità “della coppia” (che invece è una conflittualità di tutto un sistema basato sul conflitto!) trovasse sbocco (e sapesse anticipatamente di dover trovare sbocco) non in un contesto antagonistizzante come quello giudiziario, ma in una dimensione del tutto differente, nella quale prevalessero, insieme a logiche normative e premianti (o punitive, in casi di colpa), anche logiche mediative e cliniche.

In altri termini, molti comportamenti di una coppia vengono assolutizzati a
indicatori di un "conflitto in atto", solo in virtù del loro essere connessi ad un sistema nel quale sono leggibili come tali. Occorre dunque concludere che è il voler dare al conflitto coniugale una risposta in termini di una determinata modalità di
commistione fra "diritto" e "psicologia", e dunque di un contenzioso basato sui torti e
le ragioni cercati nei significati dell'indecidibilità dei significati, che permette di
assolutizzare e far ritenere "oggettivamente" "aggressivi" e indicatori di conflitto certi comportamenti che intercorrono tra due persone che stanno modificando la loro relazione, le quali, in altri contesti socioculturali (non ultimo: quello ad esempio di un'Italia di 50 anni fa) avrebbero cercato tutt'altra risposta. (P. Capri, G.Giordano - Compatibilità e contaminazioni. Ruolo degli operatori giuridici in tema di affidamento minorile. TEMA - Rivista di Psicoanalisi clinica e forense,  Ed. Sapere, Padova, n° 1, gennaio 1999 - http://www.centrostudi-ancoragenitori.it/mediazione-familiare/tra-perizie-di-mediatori-e-mediazioni-tra-periti.html)

Un  convegno  come questo sembra dunque in grado solo di rispecchiare le incapacità di tutto un settore scientifico a osservare più nitidamente (o, anche: più onestamente?) le regole del contesto di cui si occupa, e a segmentare in modo paradossale responsabilità e cause che solo attraverso un'operazione cognitiva quasi schizoide possono essere attribuite solo ad una parte del contesto (la coppia genitoriale, immersa in realtà in un contesto normativo e socioculturale che ne condiziona ampiamente vincoli e possibilità, e capacità di significazione).

Un convegno dunque che è il perfetto specchio di un sistema tragico, un  sistema che vuole consapevolmente ignorare che non esiste solo il lato oscuro della genitorialità ma anche, e forse è anche più importante, il lato oscuro del professionista e del sistema che si occupano del “lato oscuro” genitore.

Che è, soprattutto, la proiezione ed il risultato del loro "lato oscuro".

Dr. Gaetano GIORDANO