La
dottoressa Luisa Betti non dice la verità: e non la dice giocando con le chiacchiere e le parole, e
giocando bene.
Per
la precisione, giocando come farebbe una brava, e bella, bambina, che vuol
sembrare tanto assennata, ma tanto da diventare la prima della classe e, soprattutto, battere quei cattivoni dei maschi.
Gioca cioè sulla verità, e su quello che della verità dice, non dice, e fa
credere di mostrare bene, e dunque di dimostrare altrettanto bene.
Gioca,
cioè, esattamente come ci si aspetta che giochi una professionista
intelligente, competente, preparata e bella, qual è lei (come si nota dalla foto posta ad inizio del testo).
Tutto
ciò lo si scorge molto chiaramente leggendo il nuovo scritto che ha
pubblicato sul suo blog de "il Manifesto", e intitolato
“Quando chi scrive “è a rischio”: un post nel quale tenta di
manipolare la verità di come siano andate le cose, approfittando del
proprio ruolo di giornalista credibile di uno spazio giornalistico
letto da non poche persone.
Se
ne approfitta del proprio ruolo, insomma, tagliando gli interventi
scomodi che non le piacciono e lasciando quelli che le fanno comodo,
e inventando -per queste mossette da piccola censora- le spiegazioni
che più le fanno comodo: tanto, come ammette lei stessa, può
impedire alla gente di intervenire e dunque nessuno può sentire una
voce contraria.
In
sintesi, la dottoressa Betti utilizza il proprio ruolo di giornalista
(che può gestire come vuole gli spazi a disposizione), tagliando
quello che vuole e affermando quello che le piace, e che è credibile
(credibile, ovviamente, soprattutto per chi è imbevuto dello
stereotipo che chi parla da sinistra, e -soprattutto- è una donna,
può dire solo e sempre la verità).
La
dottoressa Betti avvia insomma un gioco che è quasi come quello
delle tre carte: perché nasconde abilmente alcune notizie e
informazioni, e altre le riunisce come se fosse un tutt'uno, e crea
un quadretto mistificato e mistificatorio dei fatti di cui si lagna.
Ovviamente
arrivando a confermare -e in fondo sacralizzare- la propria immagine
di donna democratica, disponibile al dialogo e al confronto,
intelligente, ma ovviamente aggredita e maltrattata, verbalmente ed
ideologicamente, proprio dalle persone a cui lei -sic! Quanto buona e
dolce è lei! Sic! Quante dolorosa è la vita!- cui lei, dicevamo,
aveva dato tanto spazio e tanta disponibilità.
La
solita favola insomma, della bambina buonissima, onesta e generosa,
che viene maltrattato dal maschio cattivone: una favola, dunque, che
persone vittime di ideologismi come quello da cui è affetta la
dottoressa Betti, devono fissamente (e a volte sembra proprio:
ossessivamente), riproporre, forse per garantirsi un proprio
equilibrio personale, più che professionale.
Nello
specifico, la dottoressa in questione ha riproposto in un articolo
del blog de "Il Manifesto" i motivi della chiusura dello
spazio di discussione che l'intrepida, coraggiosa, bella, competente,
preparata, trasparente, onesta, eccetera eccetera eccetera
giornalista, aveva dedicato alla trattazione del tema del "mobbing
genitoriale" della PAS.
Ovviamente
andando sin dal titolo a rimestare nel pentolone
ideologico-statistico del "rischio" femminile.
Il
quale pentolone ideologico-statistico, ISTAT docet, non distingue mai
-nella “violenza contro la donna”- fra critica a come costei ha
cucinato gli spaghetti e una decina di coltellate infertile
dall'amante, magari lesbica (vedi al proposito articoli qui linkati).
La
Betti rimesta dunque in questo ideo-minestrone, e solleva le solite
ritualità linguistico-vittimologioche:
"Pare non ci sia modo, per le donne," proclama la Betti “di discutere pubblicamente con serenità senza trovarsi oggetto di denigrazione e offesa da parte di chi non sa rinunciare all’idea della propria superiorità. E nel caso della Pas, chi ne parla “contro” è addirittura “a rischio”.
"Pare non ci sia modo, per le donne," proclama la Betti “di discutere pubblicamente con serenità senza trovarsi oggetto di denigrazione e offesa da parte di chi non sa rinunciare all’idea della propria superiorità. E nel caso della Pas, chi ne parla “contro” è addirittura “a rischio”.
Laddove
è falso proprio il primissimo assunto di questo Betti-pensiero, cioè
quello in cui si accora perché alle donne è impossibile scrivere, e sono a rischio se lo fanno. Sppecie parlando di PAS.
Perché
semmai è proprio lei -con
la scusa di una vittimologia indimostrata e autoreferenziale- ad
aver impedito agli uomini di scrivere quello che a lei non piaceva.
E
per poterlo spiegare, e per poter spiegare come mai ha chiuso quello
spazio per impedire appunto l'intervento di un uomo che diceva cose a
cui lei evidentemente non sapeva replicare, la dottoressa è
ricorsa ad una evidente mistificazione.
E
ha spiegato di aver chiuso quello spazio nel suo blog perché non
sopportava di essere stata aggredita su altri siti dalle stesse
persone a cui lei aveva dato spazio nella sua discussione.
E
questa è la prima vera e propria mistificazione, ed è una
mistificazione a mio avviso molto grave.
La
dottoressa Betti, infatti, nell'attribuire questa pretesa aggressione
che sarebbe avvenuta su altri siti, non indica chiaramente chi ne
siano gli autori, ma lascia credere che ad aver scritto l'articolo
sia stato io.
Tecnicamente,
ottiene tale effetto contando sul fatto che l'unico che polemizzava
contro i concetti sostenuti da lei ero io, e che io ero poi l'unico
cui potesse attribuire, in quel contesto, l'ipotesi che avessi
scritto quell'articolo su Adiantum.
A
prescindere dal fatto che quella nota su Adiantum.it contiene
critiche forse dure ma sicuramente da discutere (vi si sostiene che
se un blog si chiama “Prima le donne e le bambine” ignora i
bambini vittima di violenza per un'operazione sessista), e che sono
dunque critiche che solo una parte personalità gravemente
antidemocratica e violentemente tesa a chiudersi ad ogni confronto
può invece definire come aggressive e violente, vi è poi un dato
ben dirimente sulla mistificazione operata dalla dr.ssa Betti.
Per
chiarire la vicenda, avevo più volte cercato di pubblicare un post
nel quale dichiaravo che non avevo alcun rapporto con Adiantum ed il
suo sito, e che non avevo nulla a che fare con quell'articolo, che
non era in alcun modo opera mia.
Pertanto,
se la dottoressa Betti pensava di poter creare l'associazione fra
“persona che scrive qua dentro”, e “dottor Giordano” per
definire il “dottor Giordano” come un traditore che qui dialoga
con me e su altri siti mi offende, si sbagliava di grosso.
Primo
perché in quell'articolo non vi erano offese, ma -semmai- critiche,
a cui la dottoressa Betti avrebbe fatto bene a rispondere (salvo
dover denunciare che i dibattiti e le critiche corrette sono solo i
suoi, a suo parere).
Secondo,
perché con quell'articolo e quel sito io non c'entravo nulla.
E
questa è la prima contraffazione e mistificazione: la dottoressa
Betti si è ben guardata dal pubblicare la nota con la quale chiarivo
che non ero affatto io l'autore di quell'articolo.
Evitava
così, grandiosamente, di metter in crisi tutta la costruzione
teorica dell'alibi con cui impediva la pubblicazione di notizie cui
non voleva dar visibilità e a cui non sapeva rispondere
Alibi
che poggiava sull'identità fra chi interveniva sul blog da lei
tenuto (io), e chi aveva scritto l'articolo su Adiantum.
Questa
dunque la prima contraffazione e mistificazione: la
dottoressa Betti evitava di pubblicare la mia smentita, perché era
per lei funzionale mantenere la confusione fra chi l'ha criticata
esternamente al suo blog e chi invece portava avanti il confronto in
quella sede.
In
tal modo aveva l'alibi per non dover più pubblicare i miei
interventi e, soprattutto, per rispondere alle domande che le facevo,
e a cui probabilmente non sa -o non può- rispondere
La
seconda mistificazione avviene sempre attraverso la censura dello
stesso scritto nel quale chiarivo di non essere l'autore del testo
pubblicato su Adiantum.
In
quell'articolo, che cominciava comunque con il mio offrire tutta la
mia solidarietà alla dottoressa Betti, le facevo -successivamente
alla smentita relativa all'ipotesi che l'articolo su Adiantum
l'avessi scritto io- una domanda abbastanza precisa su quello che
poteva essere la natura vera di un certo femminismo.
La
domanda partiva da un fatto constatabile da tutti: io stesso ero
stato aggredito sul blog tenuto dalla dottoressa Betti, mi era stato
dato dell'impostore, ero stato indicato come professionista che
propaganda le idee di un impostore e di un difensore dei pedofili.
La
dottoressa Betti non aveva però mosso nemmeno mezzo tasto per
intervenire a difesa della mia professionalità e della mia
correttezza.
Mi
aveva lasciato insultare ed offendere senza in alcun modo
intervenire, senza ritenere riprovevoli e contrari alle regole del
corretto confronto quei termini usati, e via dicendo.
Quando
poi lei era stata oggetto di critiche sul sito esterno, si era
immediatamente cominciata a lamentare e, mi perdoni il termine, a
frignare come una bambina cui hanno tolto dalla boccuccia la
caramella.
Nel mio intervento le aveva fatto notare questa
disparità di trattamento, le avevo chiesto se lo riconosceva, e le
avevo chiesto se non fosse in questa differenza l'essenza di un certo
femminismo: indicare immediatamente come vittima di "violenza"
qualunque donna che fosse vittima di un confronto non gradito, e
ignorare tranquillamente e senza alcuno scrupolo quando violenze
molto peggiori vengono operate su uomini , e soprattutto di uomini
che dicono cose sgradite alle donne belle, intelligenti, competenti,
trasparenti, preparate, bravissime, qual è la dottoressa in
questione.
La
dottoressa Betti non ha pubblicato in alcun modo questo mio
intervento.
Lo
ha censurato senza alcun scrupolo, e così facendo mi ha impedito due
cose:
1)
chiarire che non ero io l'autore dell'articolo dal quale lei si
sentiva offesa e aggredita,
e che dunque non era assolutamente giustificato il suo tentativo
mistificante di creare una relazione fra chi aveva scritto
quell'articolo e me, facendo credere (e, peggio ancora, senza
tuttavia dirlo ma senza nemmeno lasciarmelo smentire) che fossi io
l'autore dell'articolo Adiantum.
2)
esprimere
un sacrosanto parere su quella che a me sembra una modalità di fondo
del femminismo, cioè l'equazione “la donna è sempre vittima –
l'uomo è sempre colpevole”, col quale la dottgoressa Betti poteva
confrontarsi e, se trovava argomenti, rispondere.
In
sintesi la dottoressa Betti mi ha impedito sia di rettificare una
notizia e dire la mia verità su qualcosa che lei affermava o,
meglio, faceva credere dal suo blog relativamente a me, e mi ha poi
impedito di esprimere un'opinione che poteva essere abbastanza
funzionale a descrivere certe filosofie femministe
Ovviamente,
ha continuato così com'è capace di continuare: ha cioè aperto un
altro post sul blog de "il Manifesto", e ha spiegato che
non poteva continuare la discussione sul MOBBING di genitoriale e
sulla PAS perché della gente aveva scritto delle cose molto brutte
contro di lei ed era la stessa gente che poi partecipava al confronto
su blocca.
Il
che è falso, come sopra dimostrato.
Il
nuovo post scritto dalla dr.ssa Betti, e tutto il suo precedente
comportamento, dimostrano con ben chiara evidenza come l'operato
della dottoressa Betti sia consistito fondamentalmente nel tappare la
bocca a chi dice cose sgradite utilizzando mistificazioni e censure
verso chi puntualizzava dati precisi e poneva domande troppo
impegnative.
Il tutto approfittando di poter manovrare una certa
porzione di mass media.
Complimenti
alla democraticità femminile e rosea!
Biblio
Post Scriptum:
A scanso di equivoci e confusioni, è chiaro che qualora e quando la dr.ssa Luisa Betti volesse pubblicare qui una sua risposta in proposito, avrà tutto la spazio che chiederà