Ci
sono due punti che a mio avviso è necessario chiarire allorché si
discute del problema del “No alla violenza sulle donne”.
Chi
ha una posizione “non-femminista”, non nega le cifre del
femminicidio, né la gravità degli eventi omicidiari che ne sono
alla base.
E
da questo punto di vista occorre esser molto chiari: dire che chi
parla in questo modo nega le cifre
del femminicidio, è un comodo modo per criminalizzare
il suo punto di vista, senza rispondere ai dati e alle obiezioni che
porta (lo si fa diventare un negazionista che non non ha
argomenti: cosa falsa).
Il
problema è invece che oltre al femminicidio c'è una violenza
nella coppia che è bidirezionale
e appannaggio anche del genere femminile, che nella
nostra società anche la donna è violenta quanto l'uomo, e
che chi ragiona da “non-femminista” dà di tutto questo una
spiegazione diversa (fatto fino a prova contraria permesso, in
democrazia) del problema della violenza sulle donne.
Questa
spiegazione è che la violenza
nella coppia è appunto bidirezionale e simmetrica, e dipende
dai nostri "valori" (meglio: "disvalori")
culturali del momento.
Non
è una violenza di genere, ma una violenza di relazione, ed emerge
nelle relazioni perché la nostra è una cultura che non sa più
gestire le frustrazioni e il crollo delle aspettative.
Da
questo punto di vista il personale riferimento di chi scrive è, ad
esempio, a Zygmunt Bauman.
Aggiungendo
poi che, a mio parere, questa divisione
fra “violenza di coppia” e “violenza nella strada”, “violenza
negli stadi”, “violenza in...”, rischia di essere un
pericolosissimo modo per
banalizzare un fenomeno non inquadrandolo nella sua realtà
globale, cioè non individuandone le radici all'interno del nostro
insieme di valori ma escogitare ogni volta una spiegazione diversa (i
tifosi sono violenti, gli automobilisti sono cattivi, e via di
seguito) che occulta molto bene come tutto ciò dipenda invece dalla
nostra personale partecipazione ad una cultura portatrice di violenza
(spesso, proprio quando ostenta la lotta contro la violenza).
Agli
eccezionali contributi di Bauman personalmente aggiungo una
specifica: vedo nella violenza il modo che la nostra società da
sempre ha di liberarsi della relazione o dei comportamenti sgraditi o
non più appaganti.
Vediamo
difatti la violenza nelle coppie eterosessuali ma anche nelle coppie
omosessuali (un mio paziente è un omosessuale vittima di stalking da
parte di un suo ex partner) ma abbiamo anche donne violente (una mia
paziente, non lesbica, è una stalker accanita; un'altra mia paziente
lesbica era continuamente brutalizzata dalla propria compagna quando
tentava di allontanarsene)..
Vediamo
la violenza dappertutto: per
strada, nei parcheggi, nelle discoteche. Ci si ammazza e ci si fa
male per tutto: non solo nella coppia.
Esistono
i bulli maschi, ma anche tante bulle, e tante cyber bulle.
Tutto
questo coincide con molti studi (citati in questo articolo: segui
link), e corrisponde poi al dato (anche esso incontrovertibile: è un
dato ISTAT) che 7/8 donne su 10 sentono di avere nella coppia lo
stesso potere decisionale del proprio partner, e via di seguito. E
soprattutto corrisponde alla cronaca quotidiana.
Secondo
me, dunque (e qui viene il bello), identificare il “maschio” come
colpevole della violenza sulle donne non solo è falso, ma anche
pericoloso e, mi si perdoni, razzista
e -guarda un po'- soprattutto
oscurantista.
Intanto,
sappiamo bene qual è il potere della vittima allorché -in nome del
proprio esser vittima- chiede, che ne sia consapevole o no, una
situazione di privilegio: in questo momento, tanto per fare un
esempio, proprio i palestinesi pagano la realtà (e sottolineo: la
realtà) di vittima del popolo ebraico.
Vi
è poi un altro punto, da prendere in considerazione: la donna
descritta da chi individua nel “maschio” il violento per genere,
è una donna che corrisponde pienamente ai dogmi
medievali, che vedono nella donna
una immagine terrena della Madonna.
Che
piaccia o no, la donna che si descrive in questi articoli è infatti
Immacolata
Concezione (nel senso che è priva di colpe e peccati:
non sbaglia mai e nessuna parte in causa ha nel fenomeno della
violenza), è sempre
Martire (ha sempre e solo il ruolo della vittima), è
Vergine
(lo intendo in senso psichico: non vuole esser mentalmente,
psicologicamente, affettivamente contaminata dai valori e dalle
attitudini maschili, e rifiuta dunque una completezza per anelare ad
una perfezione interiore).
A
questa visione
medievale della donna (che in realtà più di prima
diventa allora prigioniera della propria impossibilità ad avere
difetti e fare errori, ad avere colpe e ad assumersene
responsabilità), si associa un'altra logica
oscurantista, criminalizzante
e psichiatrizzante.
Il
1968
ci aveva (definitivamente, almeno) spiegato che Lombroso
era un inventore di assurdità: ma per il femminismo estremo, è il
maschio maschio in quanto tale che è geneticamente portato alla
violenza.
Perché
un'altra mistificazione nasce proprio qua, da questo utilizzo delle
teorie lombrosiane (o desunte
dalla stessa epistemologia del Lombroso), rieditate come moderne
attraverso un negato risciacquo nei fiumi
(occulti) della sociobiologia.
E
la mistificazione è che se si assume come ipotesi che il maschio sia
violento “perché maschio”, sia che si voglia attribuire a tale
natura di “violento” un percorso culturale e antropologico
sottostante, sia che lo si dichiari come caratteristica implicita
del maschile, si finisce in ogni caso per arrivare ad una spiegazione
genetica della violenza maschile. Violenza che, e da questa
spiegazione non se ne esce più, nasce come tale per via della
maggior forza fisica dell'uomo rispetto alla donna.
Il
che implica che da questo punto di vista questo femminismo estremo
sta utilizzando davvero la logica che sottostava alle ideologie
fondate sulla “biologia della razza”.
Il
che significa allora essere pericolosamente, molto pericolosamente,
vicini al vero
nazismo.
Non
se ne esce fuori, da questa logica, appunto perché se la violenza è
di genere (e non degli individui), le sue radici affondano nella
dimensione fisica, che ha improntato di sé l'eventuale esprimersi in
valori culturali (il maschio è violento come genere perché
fisicamente più forte, non essendoci altra spiegazione all'assunto.
Tacendo sul fatto che ciò implica che è l'essere umano in sé ad
approfittarsi della forza: erano
tutti maschi i tenutari di Green Hill?)
Concepire
la violenza come appannaggio del “genere maschile”
appartiene dunque, nella mia opinione, alla più spaventosa e tragica
epistemologia umana, quella da cui poi nasce la criminologia del
Lombroso e la sua visione dell'essere umano, e, per di più, tutte le
scienze della razza (in questo caso: le scienze della razza femminile
verso quella maschile).
Il
1968
ci aveva poi spiegato che non
esiste l'individuo “folle” (o
violento, o criminale) in quanto tale, che il problema dei
comportamenti devianti (in senso psichiatrico quanto criminale) non
potesse esser cercato in una inesistente
“monade” umana, ma in
tutto il “sistema” nel quale siamo immersi e di
cui condividiamo le regole (famiglia inclusa: ad esempio, noi
sappiamo che molti comportamenti sono frutto delle modalità con cui
la madre riesce a far elaborare al figlio le frustrazioni che nascono
dal contatto con la realtà: ma nessuno pensa mai che dietro
un uomo
(e una donna!) violento possano esserci con estrema facilità madri
che li abbiano infantilizzati, e padre parimenti disfunzionale:
tutto viene ricondotto sbrigativamente alla sola colpa di “esser
maschio” ).
Al
momento, si assiste invece ad un
riduzionismo estremo (il maschio è colpevole, tutte le altre
spiegazioni e gli altri approfondimenti non solo sono bandite: sono
eresia!), riduzionismo estremo che nega ogni valore alle relazioni e
alle regole delle relazioni come portatrici di disvalori, e
criminalizza solo l'anello finale (finale, ma non unico, dicono gli
studi) di un problema gravissimo che esprime in realtà molto bene
sia il peso dei disvalori della nostra cultura, sia come per
l'ennesima volta la negazione di questi disvalori avvenga attraverso
la proiezione razzista (generatrice per definizione di lager:
concreti o del pensiero) su una categoria incaricata di sentirsi
colpevoli per tutte le brutture umane (una volta erano i negri, poi
lo son stati gli ebrei, prima ancora forse le donne, oggi, però, da
criminalizzare sono i maschi).
La
mia impressione è che qui si attribuisca la violenza sulle donne
alla “malvagità” del nuovo mostro di questi anni (il maschio) e
che questa interpretazione (sottolineo: interpretazione) riporti
invece indietro di secoli, e verso posizioni razziste, intolleranti,
criminalizzanti, dogmatiche, l'orologio delle scienze sociali e,
soprattutto, del ruolo della donna.
Donna
che, così, rischia di diventar sempre più vittima di nuovi oscuri
dogmi.