...Un
convegno che vuole consapevolmente ignorare che non esiste solo il
lato oscuro della genitorialità ma anche, e forse è anche più
importante, il lato oscuro del professionista -e del sistema- che si
occupano del genitore.
Un
convegno che è, soprattutto, la proiezione ed il risultato del loro "lato oscuro".
Perché dimostra -prima di tutto- la volontà di questo sistema e di questi operatori di ignorare il risultato ottenuto dal loro operare.
Un
convegno, insomma, che è un
vero specchio.
Basta scorrere il
titolo degli interventi per rendersi conto di come -e quanto- il XIV
Congresso dell'Aipg, che si terrà il diciannove ottobre del 2012,
rispecchi la drammatica, a nostro parere, situazione della psicologia
giuridica italiana in tema di problematiche della famiglia.
Il
convegno si intitola “QUANDO
IL MALE E' GIA' FATTO - Le ombre e il lato oscuro della
genitorialità”.
E
il punto è che affronta -come
al solito-
il solito tema della inadeguatezza genitoriale, inclusa quella
legata alla conflittualità
divorzile,
nei soliti e ragnatelizzati modi, modelli, e
mondi che così
si creano per separarsi.
Nel
senso che anche
questo
convegno affronta il problema
del disagio della coppia genitoriale,
e
delle ripercussioni di questo
sul minore
senza minimamente uscire dall'ottica -vetusta e comunque (e
soprattutto) antiscientifica- di quanto i cattivi (o
i malati) siano
sempre e comunque (e soprattutto solamente) i genitori.
Al
proposito, basta scorrere l'elenco degli interventi:
- Dalla crisi delle
relazioni al reato. I rischi per il minore in ambito familiare
- Il maltrattamento
nell’infanzia: il difficile compito di fare luce sul sommerso
- Strategie perverse
della relazione
- Esperienze
traumatiche tra memoria e transfert
- Violenza assistita
e responsabilità genitoriali
- La cura delle
infanzie infelici.
Un elenco che esclude categoricamente qualsiasi accenno a ipotesi che mettano il "professionista" o il "dipendente" (o il "funzionario") che operano nelle separazioni, e il sistema che li comprende e ne regola l'attività, al centro o quanto meno all'interno del disagio del "genitore", attribuendo loro una qualche minima responsabilità.
Il
solito scorrere di temi appunto
vieti
e vetusti, dall'elencazione dei quali emerge il
solito punto
di vista,
strutturato
sulla consueta
polarità (che
è poi, di
fatto, una contrapposizione) della
famiglia
maltrattante, composta
dai
genitori da studiare e dal
povero bimbo traumatizzato dagli stessi da
curare,
e -all'altro
capo di questo
mondo
così
creato- dell'esperto
che pensa a come
intervenire
e a come
salvare
l'innocente vittima.
Un
punto
di vista
che ignora -volutamente- come
il disagio genitoriale non possa esser attribuito alla sola coppia
genitoriale, ma vada letto considerando le influenze sistemiche di
tutto il contesto culturale, sociale, normativo,
giudiziario, assistenziale, operativo, nel quale
è inserita la coppia genitoriale, un contesto che condiziona,
legittima, promuove e facilita o rende difficili o impossibili, altre
soluzioni e altri comportamenti, premiandone alcuni, imponendone
altri, facilitandone altri ancora.
Lo
stesso punto
di vista
-scientificamente
incongruo, disfunzionale,
patologizzante, e ad
altro tacere- che mesi fa è stato fatto dalla “concorrenza” (ci
si passi il termine ...conflittivo) dell'AIPG, che si è radunata a
Milano sotto altre bandiere per coordinare quello che -a chi scrive-
appare una felice scelta di marketing professionale: la stesura,
dopo il felice successo della cd “Carta di Noto”, di un possibile
“Protocollo
per l’affidamento dei figli”.
Un
protocollo
che,
però,
aveva
-almeno
in
fieri-
l'ipotesi
di puntualizzare che anche
il consulente che interviene è, in qualche
modo, parte del processo che si propone di dirimere (e che crede di
osservare), tanto che lo si deve appunto
munire di “Linee guida”.
Non
sappiamo quale
seguito operativo abbia avuto da allora l'ipotesi della stesura di
tali linee guida “sull'affidamento dei figli”
(e non
ci sembra
ne abbia avuto granché): certo che a legger i nomi dei convenuti non
si stentava a credere che -qualora le avessero
stilate- sarebbero
stati in grado di farle valere nella stragrande maggioranza
dei procedimenti di separazioni e divorzi in svolgimento nelle più
importanti città italiane.
Con quali risultati e
quali logiche non è dato da sapere, come
non è dato sapere quali “linee guida” avessero osservato sino a
questo
momento.
Emblematico però
constatare come
professionisti di enorme spessore nel campo della psicologia
giuridica penalistica si cominciassero ad occupare anche di temi fino
ad allora mai trattati, vale a dire appunto l'affidamento dei figli
nelle cause di separazione, temi fino a pochi anni prima da loro
assolutamente non praticati. Altrettanto
emblematico che lo facessero ricorrendo appunto alla stesura di
“Linee Guida”, quasi utilizzando un logo professionale che era
stato di gran successo nell'ambito della testimonianza minorile in
sede penale.
Simpatico
quanto
una ciliegina su una torta constatare come
il depliant di quel
convegno annunciasse, a fine elenco di
interventi, che la redazione delle linee guida sarebbe
avvenuta “alla sola presenza dei relatori”.
Chissà
perché
nessuno degli altri convenuti poteva
partecipare né ascoltare.
Resta
comunque l'ipotesi di fondo: molto difficilmente
tali esperti vogliono considerare sé stessi come
una parte determinante del problema su
cui intervengono.
Se
la stesura di linee guida, dunque, in
realtà presuppone che in qualche modo
l'esperto debba dotarsi di strumenti di autoregolazione, il novello
convegno AIPG sembra negare la validità di qualunque “lettura”
che includa nel contesto da osservare anche l'osservatore ed il ruolo
che ha nel determinare il fenomeno.
Facciamo
dunque un salto indietro di circa sessanta anni e più, negando
appunto che l'esperto del problema sia anche una parte dello stesso.
Lo
facciamo soprattutto se si considera il tragico paradosso su cui si
fonda la giustizia della separazione e del divorzio, che vede come
regola chiave di gestione del conflitto separativo e divorzile la
regola chiave di gestire il conflitto attraverso un conflitto ancora
più grave e ancora più fondante e incisivo sui comportamenti della
coppia e del minore, vale a dire attraverso il conflitto
giudiziario.
Così
come
lo stesso errore lo si fa se si ignora tutto il problema
dell'intervento professionale nei casi di disagio minorile, e di
quanto la preparazione dei professionisti e degli impiegati
che partecipano a tale intervento, la loro competenza
e la loro capacità di
incidere sul fenomeno che credono di osservare, la
loro onestà (diciamolo, una volta tanto) e la
possibile strumentalizzazione
del disagio ad opera di terzi
e di strutture interessate (sia
in contesti di contenzioso familiare, sia per
quanto riguarda l'indotto
economico e professionale che la gestione di tale disagio crea e
forse
alimenta), vadano poi ad incidere sui comportamenti
che si credono di osservare e
che ci si candida a risolvere.
Postulare
dunque
un
convegno nel quale
si parla de “Le ombre ed il lato oscuro della
genitorialità” senza
nemmeno
ipotizzare che si debba anche
affrontare il contesto socioculturale (e normativo) nel quale tali
lati oscuri si
esprimono, e vengono gestiti, significa ignorare oltre sessanta anni
di epistemologia, di scienza della complessità, di irrinunciabili
acquisizioni scientifiche.
Segmentando
i nessi causali, che sono
circolari perché
relazionali, e
linearizzando e puntualizzando i percorsi di causa-effetto si riesce
infatti ad
attribuire alla
coppia “genitoriale” (che
come
tale è entità
artificiale estrapolata
da un contesto ben più ampio) “colpe” e “responsabilità”
che emergono sì dalla loro “osservazione” ma che, come ogni
nesso di relazione, appartengono in realtà a tutto
il contesto nel quale
si esprimono.
Ad
esempio, e giusto per fare un velocissimo raffronto, non
si ipotizza nemmeno lontanamente
di
esplorare cosa sarebbe di una
“coppia
genitoriale abusante”
perché
conflittiva (questo,
ad esempio in tema di violenza assistita) se
la conflittualità “della
coppia” (che invece è una conflittualità di tutto
un sistema basato sul conflitto!) trovasse
sbocco (e sapesse anticipatamente di dover trovare sbocco) non in un
contesto antagonistizzante
come
quello giudiziario, ma in una dimensione del
tutto
differente,
nella quale prevalessero, insieme a logiche normative e premianti (o
punitive, in casi di colpa), anche
logiche mediative e cliniche.
“In
altri termini, molti comportamenti di una coppia vengono
assolutizzati a
indicatori
di un "conflitto in atto", solo in virtù del loro essere
connessi ad un sistema nel quale sono leggibili come tali. Occorre
dunque concludere che è il voler dare al conflitto coniugale una
risposta in termini di una determinata modalità di
commistione
fra "diritto" e "psicologia", e dunque di un
contenzioso basato sui torti e
le
ragioni cercati nei significati dell'indecidibilità dei significati,
che permette di
assolutizzare
e far ritenere "oggettivamente" "aggressivi" e
indicatori di conflitto certi comportamenti che intercorrono tra due
persone che stanno modificando la loro relazione, le quali, in altri
contesti socioculturali (non ultimo: quello ad esempio di un'Italia
di 50 anni fa) avrebbero cercato tutt'altra risposta. (P. Capri, G.Giordano - Compatibilità e contaminazioni. Ruolo degli operatori giuridici in tema di affidamento minorile. TEMA - Rivista di Psicoanalisi clinica e forense, Ed. Sapere, Padova, n° 1, gennaio 1999 - http://www.centrostudi-ancoragenitori.it/mediazione-familiare/tra-perizie-di-mediatori-e-mediazioni-tra-periti.html)
Un
convegno come
questo
sembra dunque in grado solo di rispecchiare le incapacità di tutto
un settore scientifico a osservare più nitidamente (o, anche: più
onestamente?) le regole del contesto di cui si occupa, e a segmentare
in modo paradossale responsabilità e cause che solo attraverso
un'operazione cognitiva quasi schizoide possono essere attribuite
solo ad una parte del contesto (la coppia genitoriale, immersa in
realtà in un contesto normativo e
socioculturale che ne condiziona ampiamente vincoli e possibilità, e
capacità di significazione).
Un convegno dunque che è il perfetto specchio di un sistema tragico, un sistema che vuole consapevolmente ignorare che non esiste solo il lato oscuro
della genitorialità ma anche, e forse è anche più importante, il
lato oscuro del professionista e del sistema che si occupano del “lato
oscuro” genitore.
Che è, soprattutto, la proiezione ed il risultato del loro "lato oscuro".
Dr. Gaetano GIORDANO