La dottoressa Sara Pezzuolo ci segnala questo importante articolo uscito - a firma della dottoressa Ilaria Bedeschi- sulla Rivista "Persona e Danno", del professor Paolo Cendon.
L'articolo commenta e riporta una sentenza della Cassazione (sentenza n. 7452/12) che ha confermato la risarcibilità del danno da Alienazione Genitoriale,
(Clicca qui per andare al sito originale dell'articolo)“RISARCIBILE IL DANNO PER SINDROME DA ALIENAZIONE GENITORIALE” - Cass. 7452/12 – Ilaria BEDESCHI |
Il Tribunale pronunciava la separazione dei coniugi, disponeva l’affidamento condiviso della figlia minore e individuava la madre quale genitore collocatario. Altri provvedimenti “educativi” erano stati assunti dal Tribunale: obbligo di intraprendere un percorso di mediazione familiare per i genitori, miglioramento dei rapporti genitori – figlia e la sospensione del diritto di visita per il padre, dato il rifiuto opposto dalla figlia.
Ma il Tribunale pronunciava provvedimenti anche di carattere economico: a fianco della quantificazione dell’assegno di mantenimento, condannava, ex art. 709 ter c.p.c., la madre al risarcimento del danno in quanto ritenuta responsabile della sindrome da alienazione genitoriale da cui era affetta la figlia. Risarcimento in favore non solo della figlia ma anche del padre/marito.
La effettiva durezza dei provvedimenti enunciati dal Tribunale spingono la donna a ricorrere in Appello chiedendo la revoca della condanna risarcitoria e l’affidamento esclusivo della figlia; il marito, resistendo, chiedeva a sua volta l’affidamento esclusivo.
L’Appello, accogliendo parzialmente il ricorso, revocava la condanna al risarcimento in favore della figlia e riducendo quello a favore del marito.
Il giudizio arriva in Cassazione la quale emette sentenza, rigettando il ricorso.
L’iter seguito dai giudici precedentemente aditi, spiega, è incontestabile e ritiene, tra l’altro, le accuse mosse dalla madre nei confronti del padre (che andavano da una violenza psicologica sino a sconfinare nell’abuso sessuale nei confronti della figlia) ampiamente negate dalle relazioni che i professionisti avevano presentato nei precedenti gradi del giudizio.
La vicenda, fuori e dentro l’aula di giustizia, appare il frutto proprio di quella conflittualità che ha spinto i giudici a rilevare la sindrome da alienazione parentale diagnosticata alla figlia.
È quindi riconosciuto il risarcimento all’uomo. Perché non anche alla figlia?
La sentenza della Cassazione
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 aprile – 14 maggio 2012, n. 7452
Presidente Luccioli – Relatore De Chiara
Svolgimento del processo
La
sentenza fu appellata dalla sig.ra Tizia., che chiese revocarsi la
sua condanna risarcitoria, affidarsi esclusivamente a sé la
figlia minore, formalizzarsi l’assegnazione a sé della casa
coniugale.
Il
sig. Caio resistette e propose anche appello incidentale chiedendo a
sua volta l’affidamento esclusivo della figlia.
La
Corte di Brescia, in parziale accoglimento del gravame principale, ha
revocato la condanna della Tizia. al risarcimento del danno in
favore della figlia, per difetto della relativa domanda; ha ridotto
ad € 10.000,00 il risarcimento in favore del Caio.; ha disposto la
formale assegnazione della casa coniugale alla Tizia.
Sulla
scorta della consulenza tecnica di ufficio espletata nel giudizio di
primo grado, delle relazioni degli esperti dei servizi sociali e
delle dichiarazioni degli insegnanti della minore, la Corte
ha confermato l’accertamento del Tribunale di infondatezza
delle accuse di abusi sessuali nei confronti della figlia
rivolte dalla Tizia al Caio, e, pur evidenziando i tratti di
immaturità della personalità di quest’ultimo, ha fatto
risalire alla prima la responsabilità del rifiuto - dalla
stessa in effetti fomentato con il proprio comportamento
quantomeno colposo - progressivamente manifestato dalla figlia
nei confronti del padre.
La
sig.ra Tizia ha proposto ricorso per cassazione con due motivi di
censura. L’intimato non ha svolto difese.
In
camera di consiglio il Collegio ha deliberato che la motivazione
della presente sentenza sia redatta in maniera semplificata, non
ponendosi questioni rilevanti sotto il profilo della nomofiliachia.
Motivi
della decisione
1. -
Con il primo motivo di ricorso, denunciando vizio di motivazione, si
lamenta:
a)
che la Corte d’appello si sia basata sulla consulenza tecnica di
ufficio effettuata da una psicologa e non da un medico
psichiatra, senza nulla osservare sul punto nonostante l’espresso
rilievo dell’appellante, mentre nessuno degli specialisti - in
primo luogo i consulenti di parte ricorrente - e degli esperti
interpellati aveva condiviso la diagnosi di sindrome di alienazione
parentale, peraltro effettuata dalla CTU solo in un secondo
momento;
b)
che sia stata omessa dai giudici di merito, senza alcuna motivazione,
l’obbligatoria audizione della minore del cui affidamento si
tratta;
c)
che sia stato omesso l’esame della relazione del consulente tecnico
di parte prof. Brighenti, prodotta dalla ricorrente nel giudizio
di appello;
d)
che la smentita delle affermazioni della neuropsichiatra dott.ssa
Finardi circa la possibilità dell’abuso sessuale commesso dal
padre sulla figlia era stata motivata, dalla Corte d’appello, con
il richiamo non già della sentenza di primo grado, bensì di
altro atto del processo quale la consulenza tecnica di ufficio;
e)
che i giudici di merito avevano omesso di rilevare che il Caio non
aveva sporto denuncia per calunnia nei confronti della
ricorrente, né i giudici stessi avevano disposto la trasmissione
degli atti alla Procura della Repubblica, né quest’ultima
aveva comunque aperto un procedimento contro la Tizia, e che il
Caio aveva rivelato il proprio disinteresse per la figlia non
assumendo alcuna iniziativa per superare gli ostacoli frapposti
alle sue visite;
f)
che la sindrome da alienazione parentale, allorché sussiste, deriva
da una situazione di grave conflittualità fra i genitori, onde
le relative responsabilità vanno ascritte a entrambi e non a uno
solo di essi; inoltre la Corre non aveva considerato che non era
stata affatto dimostrata la sistematica denigrazione del padre
ad opera della madre, che invece era sempre stata pesantemente
ingiuriata dal Caio, nonché fatta oggetto, assieme ai genitori,
di vane denunce-querele, e nondimeno si era fattivamente
impegnata, nell’interesse della figlia, a sedare la conflittualità
con il marito;
g)
che la condanna risarcitoria ai sensi dell’art. 709 ter Caiop.Caio
era infondata, giacché il padre si era reso quantomeno
corresponsabile della situazione, con la sua condotta passiva e
inerte, e aveva subito anche condanna per ingiurie, lesioni e
minacce nei confronti della moglie.
2. -
Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 6 della
Convenzione di Strasburgo, ratificata con l. 20 marzo 2003 n.
77, e dell’ art. 155 sexies CaioCaio, introdotto dalla l. 8
febbraio 2006, n. 54, per l’immotivata omissione
dell’audizione della figlia minore della coppia in relazione al
suo affidamento, obbligatoria, ai sensi delle predette norme,
salvo solo il contrasto con interessi fondamentali della minore
stessa o la sua mancanza di discernimento.
3. -
Nessuna delle predette censure può trovare accoglimento.
Va
infatti osservato:
-
che, con riferimento alla censura a) del primo motivo, nessuna norma
impone di affidare a medici piuttosto che a psicologi le
consulenze tecniche riguardanti disturbi psicologici, mentre la
verifica della concreta qualificazione dell’esperto a rendere
la consulenza è compito esclusivo del giudice di merito;
- che
le questione dell’omissione e dell’ascolto della minore –
omissione già consumata dal Tribunale - non era stata sollevata
dalla ricorrente nel giudizio di appello (o almeno ciò non
risulta né dalla sentenza impugnata né dallo stesso ricorso
per cassazione), onde la medesima - e dunque la censura b) del
primo motivo, nonché il secondo motivo di ricorso - è da
considerare inammissibile in quanto nuova;
- che
la censura c) del primo motivo è generica, difettando della
specificazione del contenuto della relazione del consulente di
parte;
-
che, quanto alla censura d) del primo motivo, ben può il giudice di
appello rilevare per relationem richiamando il contenuto della
consulenza tecnica di ufficio (ex multis, Cass. 04/5/2005,
2114/1995, 3711/1989);
- che
per il reato le censure della ricorrente integrano pure e semplici
critiche di merito, inammissibili in sede di legittimità.4. -
Il ricorso va in conclusione respinto. In mancanza di difese
della parte intimata non vi è luogo a provvedere sulle spese
processuali.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso.
In
caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità
e gli altri dati identificativi
a
norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/2003.
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