La Giustizia familiare crea da anni sacche di illegalità e sopraffazione.
Sull'"interesse" del minore agisce un sistema che pretende di gestire il conflitto attraverso il conflitto, cioè con una logica schizofrenica capace solo di perpetuare all'infinito il conflitto.
IL SISTEMA SOCIOGIUDIZIARIO DELLE SEPARAZIONI DIVENTA COSì UN SISTEMA CHE DI FATTO ABUSA DEI MINORI
Dr. Gaetano Giordano
www.psicoterapia.clinic
30 giugno 2012
Finalmente! Un PM, donna, che usa le accuse per cercare la verità
Il PM Carmen Pugliese ci racconta qualcosa sulle false accuse.
27 giugno 2012
18 giugno 2012
La Donna sta tornando segregata al Medioevo.
E ce la stanno trascinando la Mamma ...e qualche avvocatessa femminista
È
un articolo che già solo a leggerne il titolo si autodenuncia come
un articolo denso di mistificazioni di dati e, soprattutto, di ignoranza.
Ignoranza
-non si offenda l'articolista- non personale, ma di quelle elementari
conoscenze tecniche e scientifiche relative al tema della violenza in
famiglia,
fenomeno estremamente complesso nelle sue connotazioni profonde e
nelle problematiche che lo costituiscono.
Perché
è un articolo che già solo a leggerne il titolo, “Donne
e bambini vittime di violenza - "Una norma che non tutela madri
e figli"”
(clicca qui per leggerlo sul suo sito) sembra voler spingere ad una vera e propria criminalizzazione di genere, una di quelle cose di cui non c'è proprio bisogno, e che indica nello stereotipo del maschio violento l'unico autore di violenze intrafamiliari e nelle donne e nei bambini le sole vittime della stessa.
(clicca qui per leggerlo sul suo sito) sembra voler spingere ad una vera e propria criminalizzazione di genere, una di quelle cose di cui non c'è proprio bisogno, e che indica nello stereotipo del maschio violento l'unico autore di violenze intrafamiliari e nelle donne e nei bambini le sole vittime della stessa.
Una
immagine falsa, fuorviante, mistificante.
Che,
fra l'altro, fa torto, come vedremo, proprio a molte donne vittime di
violenza all'interno della loro coppia e già fin troppo emarginate
dalla accettabilità sociale.
Una
immagine propinata dunque ai lettori con buona pace di tutte le
statistiche, quelle serie e scientifiche intendiamo, che indicano
come la violenza intrafamiliare sia un fenomeno appannaggio di
entrambi i sessi, un fenomeno bidirezionale, come hanno scritto in
tanti: Juan
Alvarez Deca,
in “La
violencia en la pareja: bidireccional y simetrica”,
scritto che raccoglie 230 studi longitudinali, dimostrando
dettagliatamente ciò che sintetizza nel titolo: il postulato che
all’interno della coppia la violenza sia unidirezionale è una
mistificazione figlia del pregiudizio, dell’informazione pilotata,
del condizionamento della coscienza collettiva in atto da decenni.
Come dimostra Eugenio
Pelizzari
in “La
violenza femminile – Cos'è, come se ne parla”
(http://www.psychomedia.it/pm/grpind/separ/pelizzari.pdf),
o come sostengono anche Richard
Gelles,
oppure Rose
A. Medeiros
e Murray
A. Straus
(in " RISK FACTORS FOR PHYSICAL VIOLENCE BETWEEN DATING
PARTNERS: IMPLICATIONS FOR GENDER-INCLUSIVE PREVENTION AND TREATMENT*
OF FAMILY VIOLENCE).
O
come afferma senza mezzi termini Wendy
McElroy,
che certo maschilista non è - definendosi femminista e libertaria, e
grande nemica ideologica del concetto che la violenza è solo del
maschio.
E
come, ancora, dichiara anche Erin
Pizzey,
attivista inglese proprio rispetto alle violenze familiari, ben
conosciuta per i suoi lavoro e le sue iniziative sul tema della
violenza domestica e -soprattutto- per aver aperto il primo rifugio
del Regno Unito per donne vittime di violenza domestica, nel 1971.
Femminista
di primissimo conio, dunque, che però ha condannato decisamente
proprio la svolta politica presa dal movimento femminista, sostenendo
nel suo libro "Uomini
o donne: chi sono le vittime?":
che «
Il
movimento femminista ovunque ha distorto il problema della violenza
domestica per i propri fini politici e per riempirsi i portafogli.
[...] Osservai le femministe costruire le loro fortezze di odio
contro gli uomini, dove insegnavano alle donne che tutti gli uomini
erano stupratori e bastardi. Testimoniai il danno fatto ai bambini in
tali rifugi »
(Erin Pizzey)
Ricorderemo
dunque come
nel
suo "Studio
Comparativo delle Donne Picchiate e Donne Inclini alla Violenza"
è proprio la Pizzey a distinguere fra le "vere donne picchiate"
e le "donne inclini alla violenza": le prime sono definite
"vittime
involontarie ed innocenti della violenza del partner"
e le seconde, invece, come "involontarie
vittime della loro propria violenza".
Secondo
tale studio, il 62% delle donne analizzate erano più accuratamente
descritte come "inclini alla violenza".
Tali
risultati, peraltro, sono stati confermati da altri e successivi
studi , come quello di
Martin S. Fiebert,
della California State University, oppure quello di Malcolm
J. George
(Queen Mary e Westfield College di Londra.)
Occorre
poi dire che, per quanto riguarda le violenze domestiche sui minori
il Ministero della
Salute
statunitense ha di recente pubblicato i risultati di una ricerca sul
maltrattamento sui minori in ambito famigliare, relativamente agli
anni che vanno dal 2002 al 2006.
Le
statistiche del U.S. Department of Health & Human Services,
dimostrano che le madri sono state le uniche responsabili di violenza
sui minori in circa il 40% dei casi contro il circa 18% per i padri
(U.S. Department of Health & Human Services, Administration for
Children and Families, Administration on Children, Youth and
Families, Children’s Bureau, "Child Maltreatment 2006",
http://www.acf.hhs.gov/programs/cb/pubs/cm06/cm06.pdf).
Per
quanto riguarda la prassi delle false denunce di violenza in corso di
separazione conflittuale, come pratica mobbizzante, occorre rilevare
come tale prassi affondi molto probabilmente le proprie radici
nell'assunto che i comportamenti violenti sono tipicamente maschili,
e che la donna ne è esente. Parallelamente, è facile appunto che in
una coppia eterosessuale in separazione si abbia, come pratica di
vendetta o – soprattutto - di mobbizzazione, la falsa denuncia per
violenza. Parallelamente, si tende a ignorare come la violenza sia un
dato presente anche nella coppia omosessuale, con la differenza che
non riguarda la separazione e lo scioglimento della coppia, ma è
praticata soprattutto in costanza di legame.
Tra
le donne
vittime di violenza vanno invece incluse
le lesbiche vittime della violenza della coppia lesbica,
e al proposito basta dare un'occhiata a quel che dice nel suo
“Lesboblog”
(http://www.lesboblog.it/blog/2009/07/27/violenza-e-abuso-nelle-coppie-lesbiche/)
Marilena Vittorello.
Nessun Centro Antiviolenza, però, e nessuna associazione femminista dedita a tutelare le donne dalla violenza familiare, indica mai la violenza della coppia lesbica come problema né offre mai aiuto a lesbiche maltrattate e abusate dalle compagne.
Nessun Centro Antiviolenza, però, e nessuna associazione femminista dedita a tutelare le donne dalla violenza familiare, indica mai la violenza della coppia lesbica come problema né offre mai aiuto a lesbiche maltrattate e abusate dalle compagne.
Tutto
questo dovrebbe dunque
riuscire a riconfigurare l'assunto stereotipizzato secondo cui la
donna partner sia incapace di violenza: “A differenza di quanto
accade per le relazioni eterosessuali, il problema della violenza
domestica è ancora ampiamente sottovalutato nella comunità
omosessuale. Le statistiche relative al problema della violenza
domestica nelle coppie formate da partner dello stesso sesso sono
ovviamente difficili da reperire, sebbene alcuni autori (Berger,
1990; Bell & Weinberg, 1978) ipotizzino che l’incidenza di
episodi di violenza domestica possa essere maggiore in queste che
nelle coppie eterosessuali, a causa di ‘stressors’ peculiari,
come la mancanza di supporto da parte delle famiglie di origine o lo
stress dovuto al ‘nascondersi’. Relf (2002), che ha condotto la
più sistematica indagine sull’argomento, afferma che, tra gli
uomini coinvolti in una relazione omosessuale, uno su cinque subisce
violenza dal partner. ...” (Paola Paletti, Un’arma potente:
HIV e dinamiche violente nelle coppie gay e lesbiche,
http://www.salutegay.it/pazienti/dati_e_ricerche/questioni_critiche/violenza_domestica.htm).
Come
riportato da altri siti: "A Toronto è attivo un Centro di
Consulenza per le lesbiche e i gay. I consulenti di questo Centro,
non senza sorpresa, hanno cominciato a ricevere un numero sempre
maggiore di donne che denunciavano casi di violenza, sperimentati
all'interno delle loro relazioni omosessuali, tanto che si è reso
necessario costituire dei gruppi di sostegno per lesbiche abusate
dalle loro partner.
Il
Centro, per valutare l'entità del problema, ha distribuito 550
questionari a donne lesbiche, ottenendo 189 risposte. Le domande
riguardavano eventuali maltrattamenti subiti all'interno della
relazione lesbica, i tipi di violenza a cui le donne erano state
esposte, le reazioni della comunità, i servizi ai quali esse avevano
potuto accedere, ecc. Questa indagine, che tuttavia non riguarda un
campione rappresentativo della popolazione, ha rilevato che il 30%
dei soggetti intervistati ritiene che l'omofobia e isolamento sociale
nel quale le coppie lesbiche vivono, siano fattori capaci di
alimentare la violenza domestica. Ad esempio, paura e rabbia possono
essere indirizzate a torto nei confronti di una partner che può
rappresentare alcuni aspetti misogini della cultura eterosessuale.
Anche le donne infatti possono essere cresciute in famiglie
maltrattanti, con modelli genitoriali violenti ed anche le donne
possono avere delle concezioni razziste nei confronti di altre donne
o avere sete di potere così come il desiderio di una posizione
dominante nella loro relazione di coppia.
Esempi
di violenza e di abuso segnalati dal Centro di Toronto sulla violenza
domestica nella coppia lesbica: pestaggi, punzonatura, calci,
schiaffi, strangolamento, morsi, ustioni, spinte, lancio di oggetti,
limitazione del cibo o del sonno, limitazione della libertà della
partner o della mobilità, nel caso di una partner disabile;
controllo finanziario, furto di denaro, distruzione di beni o effetti
personali. Maltrattamenti psicologici riportati: critiche eccessive e
ripetute, umiliazione e atti di sfida, insulti, espressioni di
disprezzo, maltrattamento di animali domestici, ecc. Esistono poi
degli abusi sessuali veri e propri: rapporti sessuali forzati,
aggressioni sessuali,
ecc.
L'indagine
del Centro di Toronto rileva che il 66% delle donne (125 su 189
intervistate) ha sentito parlare di lesbiche abusate dalla loro
partner e che 37 soggetti, fra i 189 intervistati, ritiene di aver
subito abusi dalla propria compagna, soprattutto di tipo psicologico.
Tra i casi in esame, 20 hanno riferito abusi fisici e psicologici e 4
hanno subito aggressioni a sfondo sessuale nella coppia"
(Paola Paletti, Un’arma potente: HIV e dinamiche violente nelle
coppie gay e lesbiche,
http://www.salutegay.it/pazienti/dati_e_ricerche/questioni_critiche/violenza_domestica.htm).
Infine,
autori americani sostengono che la
violenza è presenza nel 30%-40% delle coppie omosessuali, e comunque
nella stessa percentuale delle coppie eterosessuali
(Walter La Gatta,La coppia lesbica,
http://www.psicolinea.it/d_e/coppia_lesbica.htm).
Non
risulta però che siano attivati presidi o centri per la gestione del
fenomeno, per lo stesso non si ha alcun allarme sociale, e molto
probabilmente non vi sono che rarissime denunce in proposito alla
Autorità Giudiziaria.
E
-soprattutto - non vi è nessun Centro Antiviolenza e nessuna
organizzazione femminista denunciano mai la violenza compiuta da
donne su donne né -tanto meno- pubblicizzano i propri centri
come centri cui possono ricorrere le donne vittime di violenza da
parte di altre donne.
Lo
strombazzamento è solo e soltanto contro gli uomini violenti: come
se le vittime delle donne non avessero diritto a tutela o,
semplicemente, a campagne di promozione sociale dei loro problemi
Il
che, scusateci, non
è
solo
ridicolo: è soprattutto vergognoso.
L'articolo
in questione non
solo
è dunque gravemente disinformato e disinformante, ma è pure lesivo
dei diritti di una parte di donne ad essere considerate vittime di
violenza.
D'altra
parte, lo stesso articolo evidenzia chiaramente una presa di
posizione quasi
curiosa: perché -in ciò seguito da non poche avvocatesse legate ai
centri antiviolenza- osteggia l'approvazione di due DDL (DDL
n. 957 r DDL n. 2800) solo perché imporrebbero
la mediazione in caso di partner violenti e perché introdurrebbero
il riconoscimento della PAS (Sindrome
di alienazione parentale), utilizzata a sostegno di queste nuove
norme.
Le
obiezioni alla prassi della Mediazione -evidentemente fortemente
temuta da chi ha in mano da sempre l'arma dell'affidamento del minore
(o della sua “collocazione” in casa)- sono risibili.
E'
evidente che chi fino ad ora (e non stiamo indicando alcun soggetto
specifico, ma solo una controparte ideologia) ha potuto prendere -in
un modo o nell'altro- le parti del vincente designato (la madre),
ha tutto da
temere dalla Mediazione obbligatoria, in quanto viene meno la
possibilità di utilizzare la coabitazione con il minore come
strumento di violenza e ricatto verso
l'altro genitore, il padre,
che ormai da decenni deve subire in tal senso vessazioni e violenze
inenarrabili.
La
mediazione obbligata prima dell'inizio del procedimento giudiziario
tende a smussare quest'arma, ed è chiaro che alla sua introduzione
corrisponda una levata di scudi da parte di chi della gestione
quotidiana del figlio faceva un'arma scandalosa, riparandosi dietro
il concetto di “violenza” (se non dietro le false denunce) per
coercire la volontà dell'altro o per agire vendette ignobili.
Che
la Mediazione faciliti il vero violento, è argomento che fa ridere:
il Giudice non sa accertare la verità, non sa predisporre strumenti
di tutela anche in casi seguiti in Mediazione?
Ci
troviamo di fronte a qualcuno che vuole insinuare che è
anticostituzionale
addirittura l'eguaglianza fra uomo e donna? E che il giudizio sulla
violenza in famiglia deve essere dato prima che un giudice si
pronunci sullo stesso o su fatti e situazioni ad esso collegati?
Perché
-di fatto- il senso di questo voler negare la mediazione in caso di
denunce di violenza presentate da donne contro i propri ex partner,
solamente questo può alla fine voler significare: disporre per legge
una diversità di trattamento tra i due sessi e collocare nelle mani
della donna -rectius: del suo legale- l'atto del giudizio.
La
stessa forza logica hanno le argomentazioni ANTI-PAS.
Ecco
quanto ci
dice Monica Pasquino, della Associazione SCOSSE, www.scosse.org
In
Senato è cominciata la discussione sul Disegno di Legge 957
(del 2008), proposto da PDL e UDC, che propone «Modifiche al
Codice civile e al Codice di procedura civile in materia di
affidamento condiviso».
…
Partendo
da premesse in buona parte condivisibili, il ddl prende poi una
direzione totalmente inaccettabile, dichiarando che per tutelare
labigenitorialità e l’interesse del minore è necessario «porre
fine a quei frequenti tentativi di manipolazione da parte di un
genitore – di regola quello che ha maggiori spazi di convivenza –
miranti ad eliminare completamente l’altro dalla vita del figlio/a,
inducendo in essi il rifiuto di ogni contatto, un malessere indotto
che va sotto il nome di Sindrome di alienazione genitoriale (PAS)».
All’art.
9del ddl si propone quindi la modificazione dell’all’articolo
709-iter del
Codice di Procedura Penale con la seguente integrazione, dopo il
secondo comma:«Il comprovato condizionamento della volontà del
minore, in particolare se mirato alrifiuto dell’altro genitore
attivando la Sindrome di alienazione genitoriale, costituisce
inadempienza grave, che può comportare l’esclusione
dall’affidamento».
Cos’è
la PAS? É la prima volta che fa capolino nella normativa italiana e
non per arrettratezza culturale, una volta tanto, ma perché la PAS è
priva di ogni fondamento scientifico,non è riconosciuta come
disturbo psicopatologico dalla comunità scientifica internazionale e
non è inclusa nell’attuale DSM (Manuale Diagnostico e
Statistico dell’Associazione Psichiatrica Americana, APA).
La
PAS è stata originariamente proposta da Richard Gardner nel 1985 per
individuare un disturbo che insorgerebbe nel contesto delle
controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un
genitore (alienatore) attiverebbe una campagna di denigrazione contro
l’altro genitore (alienato).Secondo la teoria dello studioso, il
genitore che ha un contatto più stretto con il bambino (la madre)
metterebbe in atto una specie di “lavaggio del cervello” che
porterebbe il figlio a esibire rancore, disinteresse o disprezzo
ingiustificato e continuo verso l’altro genitore (il padre).
Se
passasse il ddl 957, nei casi in cui un bambino/a rifiutasse il padre
perchè ha assistito a casi di violenza domestica, il padre potrebbe
appellarsi alla PAS, obiettando che il deficit affettivo del figlio/a
è frutto della manipolazione materna.
Pur
non ignorando la necessità di valutare con grande attenzione la
dimensione complessa e contraddittoria dei conflitti familiari che
coinvolgono i minori, da anni i centri antiviolenza e molte
associazioni di donne hanno preso posizione contro la PAS.
La
pericolosità e il carattere esplicitamente reazionario e strumentale
di questa Sindrome è già evidente nelle aule dei tribunali
statunitensi, dove si ricorre alla PAS per minimizzare (o occultare)
il fenomeno della violenza maschile contro le donne, derubricandolo a
espressione della normale conflittualità di coppia o, peggio,
colpevolizzando le vittime.”
La
risibilità ascientifica e antigiuridica di tali argomentazioni è
evidente già ad una loro primissima lettura.
Dove
può mai essere,
ad
esempio,
il carattere “ esplicitamente
reazionario e strumentale”
di una Sindrome la cui descrizione non prevede alcuna differenza
sessista, al punto che si parla solo e comunque di “genitore
alienante”?.
E'
ben evidente che una siffatta critica denuncia solo il timore che
l'uso della PAS nel corso del procedimento di affido dei minori può
generare in chi è davvero avvezzo a manipolare i figli come vuole,
contando sulla impunità del proprio ruolo: “Se
passasse il ddl 957, nei casi in cui un bambino/a rifiutasse il padre
perchè ha assistito a casi di violenza domestica, il padre potrebbe
appellarsi alla PAS, obiettando che il deficit affettivo del figlio/a
è frutto della manipolazione materna.”
Vero.
Ma
anche il criminale che ha organizzato la strage può sempre
appellarsi
alla schizofrenia per cercare di farsi dichiarare incapace di
intendere e volere. Però nessuno si sogna di richiedere l'abolizione
della schizofrenia perché può essere utilizzata come esimente
dalla imputabilità!
D'altra
parte, sarà il consulente del giudice a valutare l'esistenza o meno
di una PAS e sarà il giudice a statuire la fondatezza o meno delle
accuse: ritorna allora qui un tema di fondo. Un tema che tutto include in sé.
La
Mamma. O, se vogliamo (e con riferimento esclusivamente
psico-archetipale e ideologico), la Mammasantissima.
La
Mamma (o la Mammasantissima) intese come categoria del comportamento
e, soprattutto, dello psichismo profondo, la Mamma (o
la Mammasantissima) che
non accettano nemmeno
in ipotesi l'idea essere costrette prima
o poi a sottoporsi
ad un giudizio terzo e superiore.
La
Mamma e la Mammasantissima di “Extra
Ecclesiam nulla salus”
La
Mamma (o la Mammasantissima) che sono indiscutibili per Legge e per
Ideologia, e dunque non
devono mai essere messe in discussione.
La Santa Vergine, Madre e Martire.
Perché
l'assurdo di questa tipologia di critiche è proprio che tutte riportano -cioè: nascono- da quei valori medievali che fanno della Donna in quanto essere sessuato e individuale, solo una Madre che è tale senza relazione col Maschile (dunque asessuata, come vedremo), dunque è Vergine, Santa, e Martire.
Quattro termini che sintetizzano molto bene tutto quello che questa prospettiva "femminista" attribuisce come valori e come status socio-antropologico alla Donna di .
Non a caso, infatti, tutte queste critiche e queste prospettive cercano di annullare ogni logica di parità fra “uomo” e “donna”, e questo a partire dalla falsificazione o mistificazione degli studi
in materia di violenza familiare e del ruolo della violenza nelle
coppie uomo etero- ed omo- sessuali, per finire alla volontà di
negare l'utilizzo paritario, in caso di contenzioso legale, di
identici strumenti normativi e concettuali.
Anche
il rifiuto della Mediazione va infatti
in questo senso, dal
momento che è evidente come -stando alle
critiche che vengono portate avanti- dovrebbe
bastare la sola accusa di una ex partner per impedire la Mediazione.
Il che equivale ad affermare l'autoreferenzialità del conflitto come
strumento di gestione del conflitto.
Detto
in altri termini, è evidente che si vuol fare in modo che chi ha
interesse ad agire il conflitto non sia subordinato ad una logica
mediativa, ma possa schiacciare la logica della ricerca di mediazione
(l'unica da cui il minore può trarre beneficio) proprio agendo il
conflitto invece di
sedarlo.
Ciò,
come detto, lascia intravedere al fondo l'emergere di una logica: il
trionfo non della Donna in quanto genere di sesso femminile, ma della
Madre, elemento Archetipico che qui ritorna travestita da
difensore del Femminile ma che -come l'ignorare completamente le
violenze subite dalle donne lesbiche dimostra- punta al trionfo della
Grande Madre divoratrice: laddove, ovviamente, il riferimento è alla
polarità negativa dell'archetipo jungiano.
Da
questo punto di vista siamo in realtà in presenza di un riemergere
perverso e negativo della Mitologia della Vergine e Madre, come anche
la manipolazione degli studi sulla violenza familiare indicano.
L'accezione "riemergere perverso e negativo" merita un rigo di spiegazione.
Ci riferiamo al fatto che questo integralismo "femministico" nega come tali proprio quei valori che fa riemergere (vale a dire una visione della Donna sempre Santa, Madre, Vergine e Martire), ma li riafferma distruttivamente attraverso la demonizzazione del Maschio.
Il ruolo assunto da questi (violento, prevaricatore, inutile) fa sì che le caratteristiche Medievali della Donna (che deve cioè essere solo Santa, solo Madre, solo Martire e Vergine), ritornino come risultato della presenza di un Maschio così negativo e non come affermazione di valori attribuiti esplicitamente alla donna in quanto tale.
La (paranoidea) perversione del Maschile rende così attuale e non criticabile la riproposizione di un Femminile assolutamente identico per ruolo e status a quello del Femminile Medievale.
E tutto questo con buona pace dei centri femministi che sponsorizzano questi
studi e queste critiche alla PAS, al “condiviso”, ai DDL a venire
e via di seguito.
Non
a caso,
infatti,
e ritorniamo adesso all'articolo in questione, quello da
cui siamo partiti per questa disquisizione sul ritorno della Grande
Madre, o meglio, della Vergine e Madre intesa nella sua Ombra
divorante (sempre con riferimento alla terminologia junghiana).
L'articolo
in questione, quello di Repubblica, sponsorizza fortemente una
onlus,
la Pangea Onlus.
Di
questa Onlus ci siamo andati a guardare il sito: e la sua
presentazione ci ha stupito.
Ci
ha stupito per quanto fosse coerente -e grandemente espressiva- di
tutta la filosofia dell'articolo, del suo contenuto, e del contenuto
delle idee che propaganda. E di quello che
stiamo qui sostenendo.
E
cioè che questa -ormai ultradecennale- ondata ideopsicologica sul
ruolo del “maschio” e della “donna” esprime il ritorno
negativa dei valori della Vergine e Madre come modello di
femminilità.
"La
vita ricomincia sempre da una donna",
si dice infatti nella Home Page di questa Onlus ispiratrice
dell'articolo, la Pangea Onlus.
Ma
questo non è vero, e c'è un grave e voluto errore, in questo
slogan, e, secondo noi (ma -ahimè!- secondo la biologia tutta)
soprattutto c'è una voluta deformazione.
Meglio:
una grave mistificazione.
Perché
è evidente che la vita non ricomincia affatto, se c'è solo una
donna.
Anzi:
se è per questo, in realtà la vita finisce, se la donna è sola, e
se c'è solo una donna a pretendere di farla ricominciare da sola.
Perché,
la vita se ne frega degli individui soli ed isolati, e li lascia
morire. E non permette che il loro DNA si replichi se non in presenza
di un Altro.
Perché
la vita non è solitudine e non è isolamento -affettivo, come
ideologico o razziale- ma è relazione.
E
da una donna sola la vita, dunque, non farebbe ricominciare proprio
un bel niente.
E
allora è inutile e mistificatorio giocare con queste metafore, e far
credere che attraverso un falso si possa esprimere un vero.
Affinché
la vita ricominci, c'è bisogno di un uomo e di una donna.
Ma
c'è bisogno, soprattutto e di più, della loro relazione.
Perché
è solo dalla relazione che nasce la vita: e la vita è solo
relazione ed è solo nella relazione che c'è vita.
L'acqua,
l'aria, la terra, il mondo, la vita, tutto nasce da una relazione e
da relazioni fra relazioni.
Il
resto è propaganda.
Propaganda di valori Medievali,
fra l'altro.
Non
ci stupisce dunque che tutta la posizione di questa onlus, una
cooperativa che in Italia riceve fondi pubblici occupandosi di
violenza alle donne e ai bambini, soffra di questo vizio di fondo.
Far
credere che la donna -la Mamma, anzi- basti a tutto.
Siamo
mediterranei, e siamo nella terra dell'archetipo della Gran Madre.
Non
a caso siamo la terra della Santa Madre Chiesa, non a caso siamo la
terra dei figli di mamma e, piaccia o no, non a caso siamo la terra
della Mammasantissima.
Perché
-appunto- non è un caso che i mafiosi chiamino la mafia
“Mammasantissima”, così come non è un caso che i figli vadano
sempre alla Mamma.
E
così non ci sembra affatto strano che questa onlus riesca a dire che
per far ricominciare la vita basta una Madre Vergine (perché in
assenza di una relazione con l'uomo...).
Una
distorsione che, a nostro avviso, è già indicata nel nome: Pangea,
appunto.
Ci
scusino le valide e capaci professioniste che hanno creato questo
nome e/o lavorano per esso.
Non
vogliamo affatto offenderLe o peggio, screditarle.
Però
non ci sembra affatto strano che la stessa organizzazione che
presenta la Vita come solo frutto di una sola donna (e di una donna
sola), si chiami poi “Pangea”.
Cosa
è “Pangea”, infatti?
Pangea
era l'ammasso indistinto della massa terrestre prima della
separazione in cinque continenti.
Pangea
è dunque la terra fusionale, il mondo dell'indiviso e
dell'indistinto affollarsi di continenti.
Il
mondo uroborico, nel quale il feto è non-individuo, non-cosciente e
non autonomo e non-capace di viversi e percepirsi separato dalla
Madre.
Un
mondo primordiale, fetale o prefetale addirittura, nel quale identità
e diversità sono pensieri alieni e in-concepibili: perché Pangea è
il Tutto che ingloba Tutto. E non ammette differenze.
Ma
la vita è proprio l'opposto: è relazione fra contrari, è relazione
fra diversità, è relazione fra individui.
Pangea
conosce solo sé stessa e vive solo di sé stessa. E' la Madre che
toglie coscienza e annienta la relazione con l'Altro, col diverso.
Non a caso la “Pangea Onlus” proclama poi che la vita ricomincia
da una donna.
E'
falso. La vita ricomincia solo da una donna e da un uomo insieme.
Non
ci stupisce dunque che l'articolo che “megafona” (ce lo consente
l'autrice? O si irrita ricordandosi -e ricordandoci- che “Extra
ecclesiam nulla salus”?) non ci stupisce dunque che l'articolo
pubblicato su Repubblica, a firma di Valeria Pini, ottima giornalista
sicuramente, si intitoli appunto “Donne
e bambini vittime di violenza - "Una norma che non tutela madri
e figli"”
e sia portavoce di tutta questa mistificazione
sulle caratteristiche di genere (Uomo = Violenza, Donna=Vittima) e
sull'annullamento di ogni parità anche giudiziaria in proposito.
Un
articolo per il quale abbiamo dato ai nostri legali -lo diciamo
subito- l'incarico di valutare se contenga gli estremi
dell'incitamento all'odio razziale.
A
quanto detto
precedentemente
sulla
PAS , aggiungiamo un altro punto. Sul fatto
che la PAS non dovrebbe
essere
presa in considerazione perché non
ancora entrata nel DSM IV.
Strana
che questa critica venga da posizioni, per così dire, di sinistra.
Tutti
sanno che la presenza nel DSM è vincolata a logiche spesso
commerciali, come
vedremo.
A
parte ciò, nel DSM IV -ad esempio- non si parla nemmeno
di "bullismo, né di "mobbing" né di "stalking.
Ma
non per questo l'attuale nosografia psichiatrica ignora le vittime
del "bullismo", o del "mobbing", o
dello"stalking.
Come
se poi non si sapesse che l'inserimento di una patologia nel DSM è
frutto sia di prospettive culturali in vigore (basti pensare
all'omosessualità, considerata patologia fino al DSM II), sia della
presenza dell'industria farmaceutica (se una patologia è
riconosciuta come tale, è possibile prescrivere un farmaco, e si ha
dunque un motivo in più per vendere quel farmaco: la PAS no n ha
farmaci e dunque non ha sponsor...).
Il
comportamento di rifiuto immotivato da parte di un figlio contro uno
dei genitori è in realtà un gravissimo problema, e di questo
problema bisogna occuparsene.
Lo
si può dunque chiamare come volete: "Sindrome del figlio di
Medea", se volete. O anche "Bullismo Genitoriale". O
"collusione genitore-figlio".
Ma
il problema c'è -e le statistiche ne sono piene.
Il
sottinteso è chiaro: se il figlio non vuole avere a che fare col
padre, la colpa è del padre, sicuramente un violento o comunque un
indesiderabile.
Da
rifiutare, dunque.
Una
posizione che genera solo malattia, questa, perché ignora -e questo
è gravissimo- tutto ciò che ci dice la psichiatria della famiglia
in proposito.
C'è
una sintesi, da fare, dietro a tutto questo.
Di
fatto (e ci smentisca l'autrice dell'articolo e/o le responsabili di
Pangea, portando validi argomenti), la posizione espressa da questo
articolo è una posizione in tutto e per tutto simile a quelle di
ogni razzismo: che identifica tutto il male e tutta la violenza in
una sola categoria umana o antropologica.
Gli
Ebrei, i Negri, gli Zingari e, oggi, il Maschio.
O
ci sbagliamo, e non è vero che l'articolo in questione -e la levata
di scudi di Pangea contro la nuova legge, levata di scudi a ipotetica
difesa di donne e bambini (ma i bambini amputati del padre non sono
anch'essi vittima di violenza?)- è una levata di scudi che
identifica solo il Maschio come autore della violenza in famiglia
(salvo... rarissime eccezioni, ovvio!), e la violenza come
appannaggio del solo genere maschile.
Perché,
e qui viene secondo noi il bello, questa posizione che identifica la
donna come solo vittima di violenza insieme ai propri figli, e mai
incapace di male verso l'uomo, è il riciclaggio al
moderno-femminista di una posizione medievale.
Una
posizione terribilmente oppressiva proprio del ruolo femminile, che
-si noti- ha un nemico: il Maschio, violento per definizione.
Ma
non ha diritto a difese se la violenza nasce dalla donna: come il
perenne e irrevocabile insabbiamento della violenza lesbica -donna su
donna- dimostra.
Perché
è solo e soltanto la stessa posizione secondo cui (ed è strano che
le compagne non se ne rendano conto) la Donna è solo Santa, solo
Martire, solo Vergine e Madre.
Dal
momento che -come dice la Pangea Onlus- genera la vita senza rapporti
col maschio.
D'altra
parte, come negare la fortissima vicinanza ai valori medievali della
Santa Madre Chiesa, dal
momento che...
...sono
tutte Sante (nessuna ha mai una colpa);
...sono tutte Madri Perfette (non devono sottostare a procedimenti di accertamento giudiziario né a mediazione col partner, e devono poter gestire a loro pieno piacimento il figlio)
...sono tutte Martiri del Maschio Violento)
… sono tutte Vergini: danno la vita senza bisogno del maschio
Sissignori,
è proprio tornato il Medioevo...
...e
non se ne sono nemmeno accorte.
GAETANO
GIORDANO
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