18 dicembre 2006

UNA MAMMINA DISPERATA. & CRISTIANA


da Famiglia Cristiana

http://www.sanpaolo.org/fc/0651fc/0651fc06.htm


di D.A.
QUANDO I GENITORI IN LOTTA TRA LORO INFIERISCONO SUI FIGLIPER FERIRE IL PARTNER QUEI FIGLI "RIDOTTI A BRANDELLI"

La nuova legge sull’affido condiviso è, di per sé, una misura di civiltà, perché i figli non sono da dividere tra i contendenti come il mobilio. Sono persone, al centro della scena.

Caro padre, sono una trentenne, costretta ad affrontare una separazione coniugale. È una cosa lontana anni luce dalla mia vita, e faccio ancora fatica ad arrendermi a questa idea. Mi sono sposata con convinzione, sicura dei miei sentimenti e della persona cui avevo rivolto le "promesse" con abbandono.

Purtroppo, dopo soli due anni di matrimonio, mi sono accorta che mio marito non era l’uomo che avevo sposato. Ho compreso quanto fosse abile a mentire e fingere, quanto fosse innamorato solo di sé stesso e di sua madre, quanto fosse egoista, arrivando anche a fare di tutto per allontanarmi dalla mia famiglia d’origine.

La sofferenza che gli ho manifestato e che lo ha infastidito è stata causata anche dall’acquisto – a mia insaputa – di un cane pastore tedesco cui dedicava tutto sé stesso, incurante del mio terrore per l’animale, della schiavitù cui questo mi obbligava e delle aggressioni subite da me in gravidanza e persino dalla bimba a poche settimane di vita.

Come se ciò non bastasse, anche l’atteggiamento di mio marito diventava sempre più prepotente e aggressivo. È arrivato persino a dirmi che l’amore nei miei confronti era scemato, e che sarebbe tornato al suo paese d’origine, senza di me. A quel punto, l’ho invitato a uscire di casa, visto che è di mia proprietà. Speravo che la lontananza lo facesse maturare, per cui non ho agito legalmente né contro di lui, né per sciogliere il matrimonio. Anzi, ogni giorno lo accoglievo perché potesse vedere la bambina.

Dopo più di un anno che l’anomala situazione si protraeva, senza che da parte sua si concretizzasse il desiderio di sistemare le cose, gli ho chiesto di ufficializzare la separazione in modo pacifico. Da quel momento si è scatenato l’inferno, alimentato soprattutto dalla nuova legge sull’affido condiviso. Utilizzando senza alcun pudore moltissime menzogne contro di me, soprattutto come mamma, è riuscito pure a ingannare il giudice. Il quale, basandosi sulla nuova legge e spinto dalle insistenze del suo avvocato, ha emesso dei provvedimenti provvisori circa l’affidamento di nostra figlia, che sono a dir poco punitivi verso la bambina.

La sua vita, a neppure due anni, è stata spezzata, ed è costretta a uno stress di orari e luoghi che non ha pari.

Stiamo parlando di un essere umano alle sue prime esperienze di vita! Temo che mia figlia farà parte di una generazione di bambini dalla doppia personalità, senza un vero punto di riferimento, perché costretti a dividere non solo il loro tempo a metà, ma anche i giochi, gli indumenti, l’educazione, l’abitazione!
Non è uno sfogo contro il diritto dei padri a crescere i figli, ma questo non può e non dev’essere esercitato a scapito dell’equilibrio e della stabilità dei figli! Al centro di tutto ci sono i bambini, la loro sensibilità, la loro età. Gli uomini si gonfiano di vittoria perché, finalmente, una legge s’è schierata dalla loro parte, ma la sua applicazione provoca effetti nefasti che riducono i bambini a brandelli di essere umano, peggio ancora se sono molto piccoli e non in grado di afferrare il senso delle vicende.

Una mamma pensa anzitutto al bene del figlio. Io mi sto lacerando nel dolore e confido che, alle prossime udienze, la mente del giudice venga illuminata da un po’ di umanità, così che la bimba possa stare più tranquilla e in pace a casa sua, con la propria mamma, per recuperare la serenità.
Una mamma disperata



La lettera di questa madre disperata sembra un’attualizzazione del celebre giudizio salomonico. Nel racconto biblico contenuto nel 1° libro dei Re (cap. 3,16 ss.), il saggio Salomone ricorre a un espediente per scoprire chi fosse la vera madre, tra due donne che litigavano pretendendo ognuna di essere la madre del bambino.

Ordinando che fosse diviso a metà, suscita la reazione di rinuncia da parte della vera madre, la quale preferisce rinunciare al suo bambino, pur di non fargli del male («Date a lei il bambino vivo; non uccidetelo!», mentre l’altra si allinea alla insidiosa sentenza di Salomone: «Non sia né mio né tuo; dividetelo in due»).

Purtroppo, questo amore istintivo non sembra molto diffuso. Assistiamo con frequenza proprio al contrario: genitori in lotta, nel tempo del disamore, che pur di ferire il partner infieriscono sui figli. Nei casi estremi qualcuno arriva perfino a ucciderli, materialmente (rinnovando la tragedia antica di Medea, che uccide i figli avuti dal fedigrafo Giasone). Più spesso il danno è solo psicologico. Non per questo, però, è meno devastante. Tirati da una parte e dall’altra, da questi due adulti in litigio regrediti psicologicamente ed emotivamente al giardino d’infanzia, i figli sono «ridotti a brandelli», come si esprime la nostra lettrice.

La figura giuridica dell’affidamento congiunto è, di per sé, una misura di civiltà. Parte dal presupposto che i bambini non sono cose, da dividere tra i contendenti, come il mobilio o altre proprietà. Loro non sono del padre o della madre: sono persone; piuttosto che venire assegnati all’uno o all’altro, vanno collocati al centro della scena. Sono invece i genitori che, a seconda delle loro capacità e disponibilità, devono essere valutati dal giudice, affinché il bambino riceva protezione e cure al massimo grado. Questo, almeno, è lo spirito che anima la legge dell’affidamento congiunto.

Si tratta di un’opportunità, non di un obbligo assoluto. Se l’affidamento congiunto è un’occasione per gli ex coniugi di continuare a ferirsi reciprocamente, usando il bambino come arma contundente (sempre in senso psicologico...), l’affidamento a uno solo dei due può essere preferibile.

Potrebbe anche darsi che si crei una versione aggiornata del giudizio salomonico: se un genitore dovesse arrivare alla conclusione che la situazione creatasi con l’affidamento congiunto è devastante per il bambino, potrebbe arrivare a rinunciare a rivendicare i propri diritti, perché il benessere del figlio gli sta a cuore più di ogni altra cosa. Potrebbe succedere. Nella realtà, è più probabile che la rivalità con l’altra metà della coppia genitoriale, che si è finito per svalutare e disprezzare, prevalga sull’amore per il figlio. Al quale non ci resta che augurargli buona fortuna nel viaggio attraverso la vita, cominciato così male. E affidandolo alle cure di Dio, che è un Padre che non viene mai meno.

Per chi volesse approfondire il tema dell’affido condiviso e avere un primo bilancio dell’attuazione di questa nuova legge, consiglio il bellissimo e documentato numero monografico di Famiglia Oggi (ottobre 2006), che ha per titolo "Genitori per sempre". Espressione che sta a indicare il diritto dei figli a continuare ad avere un padre e una madre, anche quando sono coinvolti nella fine del matrimonio dei loro genitori.
D.A.

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