25 dicembre 2006

GLI AUGURI DI STEFANO ZECCHI AI PADRI SEPARATI

Da “Il GIORNALE” del 25 dicembre

I miei auguri per non dimenticare

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=144277

di Stefano Zecchi
Cerchiamo di tener duro nella nostra visione così reazionaria, clericale e antimoderna da poter continuare a celebrare il Natale nonostante il multiculturalismo, le finezze ideologiche laiciste, il politicamente corretto, i veli delle donne arabe e le minacce degli uomini arabi. Per quest’anno ce l’abbiamo ancora fatta: con qualche timidezza abbiamo costruito i nostri presepi e addobbato gli alberi, siamo riusciti a trovare qualche buon argomento per chi diceva che è da deficienti celebrare il Natale con quei simboli da sottosviluppo culturale e ci siamo difesi abbastanza bene da quel cenacolo di grandi intellettuali eletti alla Camera dei deputati che hanno piazzato due statuine di omosessuali maschi e due di femmine nel presepio di Montecitorio.
È tempo di auguri, e gli auguri migliori sono quelli che aiutano a non dimenticare. Almeno una volta all’anno (anche se è molto poco), nell’occasione di una festività che celebra l’interiorità degli uomini e fa riflettere sul significato del bene e del male, è doveroso ricordare chi non ha il giusto riconoscimento per ciò che è, per ciò che ha fatto, per ciò che ha subito. Tra i tanti, scelgo due «rappresentanze». I miei auguri vanno ai papà che sono stati privati da sentenze ingiuste e da giudici incapaci di stare, come sarebbe un loro diritto, con i propri figli. E vanno ai feriti e ai parenti delle vittime del terrorismo politico dei nostri lunghi e mai realmente terminati Anni di piombo.
Incominciamo a spiegare perché gli auguri a questi ultimi. Il motivo è semplice: nessuno se li ricorda e quando escono dall’oblio non è perché le istituzioni trovano finalmente un’occasione per dedicare loro il rispetto, l’attenzione e anche il risarcimento economico che meritano, bensì perché qualche loro carnefice viene in un modo o nell’altro acclamato dalle cronache.
La figlia dell’onorevole Aldo Moro, Maria Fida, ha perdonato l’assassina di suo padre, Barbara Balzerani, che è uscita in questi giorni dal carcere pur essendo stata condannata a tre ergastoli.
Tutto naturalmente secondo la legge che prevede gli sconti di pena come i giochi a premio: se fai il bravo per un anno te ne condono tre, se studi due, se fai qualche nome di un complice quattro eccetera. E così la brava terrorista Balzerani, che ha sulla coscienza sei omicidi, ha lasciato il carcere.
Il perdono è un fatto soggettivo, appartiene alla coscienza di una persona: lo Stato non può perdonare, deve essere giusto. È giusto con la terrorista Balzerani e con gli altri terroristi che, condannati a pene detentive severe, sono usciti dal carcere molto prima del tempo previsto? È giusto che questi bravi e buoni terroristi siano oggi tutti impiegati dello Stato, chi nelle biblioteche, chi in Comune, chi nelle Asl, chi nel Parlamento della Repubblica come l’ex terrorista onorevole D’Elia? Dite voi! In fondo, non si amministra la giustizia nel nome del popolo italiano?
Però è certo che delle loro vittime, dei feriti, dei parenti delle vittime che si sono visti fucilare padri e fratelli, lo Stato se ne frega: per questi dimenticati non c’è rispetto, risarcimento, attenzione per l’inserimento nel lavoro, mentre i bravi terroristi oggi sono pagati con le nostre tasse come dipendenti pubblici.
Ai parenti delle vittime del terrorismo, agli oltre 4mila feriti dai terroristi i miei auguri.
Veniamo ai papà. È fuori di dubbio che purtroppo molti padri sono degli sciagurati che non hanno mai capito quale enorme responsabilità abbiano avuto nel mettere al mondo i figli. Pensano che il lavoro o altre attività siano il centro del mondo, si sentono amministratori delegati dell’universo e non dedicano un minuto del loro tempo ai bambini. Quando si dividono dalle mogli, perché nella loro testa c’è sempre qualcosa di più importante del dovere di tenere unita la famiglia, disattendono ogni responsabilità. Però queste figure ignobili non devono gettare ombra sugli altri papà che non sempre per colpa loro non sono riusciti a tenere insieme la famiglia e che vengono sommariamente puniti dalle sentenze dei magistrati:
o perché i giudici non assegnano al genitore i figli che potrebbero benissimo essere educati e cresciuti da loro, o perché i giudici non fanno rispettare le sentenze che stabiliscono quando papà e figli possono stare insieme.
Di fronte al pericolo di una società mammizzata, auguro ai papà di far valere i propri diritti.