26 luglio 2012

La Donna è una Madonna.

...Trascinata verso un Nuovo Oscurantismo


Ci sono due punti che a mio avviso è necessario chiarire allorché si discute del problema del “No alla violenza sulle donne”.
Chi ha una posizione “non-femminista”, non nega le cifre del femminicidio, né la gravità degli eventi omicidiari che ne sono alla base.
E da questo punto di vista occorre esser molto chiari: dire che chi parla in questo modo nega le cifre del femminicidio, è un comodo modo per criminalizzare il suo punto di vista, senza rispondere ai dati e alle obiezioni che porta (lo si fa diventare un negazionista che non non ha argomenti: cosa falsa).

Il problema è invece che oltre al femminicidio c'è una violenza nella coppia che è bidirezionale e appannaggio anche del genere femminile, che nella nostra società anche la donna è violenta quanto l'uomo, e che chi ragiona da “non-femminista” dà di tutto questo una spiegazione diversa (fatto fino a prova contraria permesso, in democrazia) del problema della violenza sulle donne.

Questa spiegazione è che la violenza nella coppia è appunto bidirezionale e simmetrica, e dipende dai nostri "valori" (meglio: "disvalori") culturali del momento.
Non è una violenza di genere, ma una violenza di relazione, ed emerge nelle relazioni perché la nostra è una cultura che non sa più gestire le frustrazioni e il crollo delle aspettative.
Da questo punto di vista il personale riferimento di chi scrive è, ad esempio, a Zygmunt Bauman.
Aggiungendo poi che, a mio parere, questa divisione fra “violenza di coppia” e “violenza nella strada”, “violenza negli stadi”, “violenza in...”, rischia di essere un pericolosissimo modo per banalizzare un fenomeno non inquadrandolo nella sua realtà globale, cioè non individuandone le radici all'interno del nostro insieme di valori ma escogitare ogni volta una spiegazione diversa (i tifosi sono violenti, gli automobilisti sono cattivi, e via di seguito) che occulta molto bene come tutto ciò dipenda invece dalla nostra personale partecipazione ad una cultura portatrice di violenza (spesso, proprio quando ostenta la lotta contro la violenza).
Agli eccezionali contributi di Bauman personalmente aggiungo una specifica: vedo nella violenza il modo che la nostra società da sempre ha di liberarsi della relazione o dei comportamenti sgraditi o non più appaganti.

Vediamo difatti la violenza nelle coppie eterosessuali ma anche nelle coppie omosessuali (un mio paziente è un omosessuale vittima di stalking da parte di un suo ex partner) ma abbiamo anche donne violente (una mia paziente, non lesbica, è una stalker accanita; un'altra mia paziente lesbica era continuamente brutalizzata dalla propria compagna quando tentava di allontanarsene)..
Vediamo la violenza dappertutto: per strada, nei parcheggi, nelle discoteche. Ci si ammazza e ci si fa male per tutto: non solo nella coppia.
Esistono i bulli maschi, ma anche tante bulle, e tante cyber bulle.

Tutto questo coincide con molti studi (citati in questo articolo: segui link), e corrisponde poi al dato (anche esso incontrovertibile: è un dato ISTAT) che 7/8 donne su 10 sentono di avere nella coppia lo stesso potere decisionale del proprio partner, e via di seguito. E soprattutto corrisponde alla cronaca quotidiana.

Secondo me, dunque (e qui viene il bello), identificare il “maschio” come colpevole della violenza sulle donne non solo è falso, ma anche pericoloso e, mi si perdoni, razzista e -guarda un po'- soprattutto oscurantista.

Intanto, sappiamo bene qual è il potere della vittima allorché -in nome del proprio esser vittima- chiede, che ne sia consapevole o no, una situazione di privilegio: in questo momento, tanto per fare un esempio, proprio i palestinesi pagano la realtà (e sottolineo: la realtà) di vittima del popolo ebraico.

Vi è poi un altro punto, da prendere in considerazione: la donna descritta da chi individua nel “maschio” il violento per genere, è una donna che corrisponde pienamente ai dogmi medievali, che vedono nella donna una immagine terrena della Madonna.

Che piaccia o no, la donna che si descrive in questi articoli è infatti Immacolata Concezione (nel senso che è priva di colpe e peccati: non sbaglia mai e nessuna parte in causa ha nel fenomeno della violenza), è sempre Martire (ha sempre e solo il ruolo della vittima), è Vergine (lo intendo in senso psichico: non vuole esser mentalmente, psicologicamente, affettivamente contaminata dai valori e dalle attitudini maschili, e rifiuta dunque una completezza per anelare ad una perfezione interiore).

A questa visione medievale della donna (che in realtà più di prima diventa allora prigioniera della propria impossibilità ad avere difetti e fare errori, ad avere colpe e ad assumersene responsabilità), si associa un'altra logica oscurantista, criminalizzante e psichiatrizzante.

Il 1968 ci aveva (definitivamente, almeno) spiegato che Lombroso era un inventore di assurdità: ma per il femminismo estremo, è il maschio maschio in quanto tale che è geneticamente portato alla violenza.
Perché un'altra mistificazione nasce proprio qua, da questo utilizzo delle teorie lombrosiane (o desunte dalla stessa epistemologia del Lombroso), rieditate come moderne attraverso un negato risciacquo nei fiumi (occulti) della sociobiologia.
E la mistificazione è che se si assume come ipotesi che il maschio sia violento “perché maschio”, sia che si voglia attribuire a tale natura di “violento” un percorso culturale e antropologico sottostante, sia che lo si dichiari come caratteristica implicita del maschile, si finisce in ogni caso per arrivare ad una spiegazione genetica della violenza maschile. Violenza che, e da questa spiegazione non se ne esce più, nasce come tale per via della maggior forza fisica dell'uomo rispetto alla donna.
Il che implica che da questo punto di vista questo femminismo estremo sta utilizzando davvero la logica che sottostava alle ideologie fondate sulla “biologia della razza”.
Il che significa allora essere pericolosamente, molto pericolosamente, vicini al vero nazismo.

Non se ne esce fuori, da questa logica, appunto perché se la violenza è di genere (e non degli individui), le sue radici affondano nella dimensione fisica, che ha improntato di sé l'eventuale esprimersi in valori culturali (il maschio è violento come genere perché fisicamente più forte, non essendoci altra spiegazione all'assunto. Tacendo sul fatto che ciò implica che è l'essere umano in sé ad approfittarsi della forza: erano tutti maschi i tenutari di Green Hill?)

Concepire la violenza come appannaggio del “genere maschile” appartiene dunque, nella mia opinione, alla più spaventosa e tragica epistemologia umana, quella da cui poi nasce la criminologia del Lombroso e la sua visione dell'essere umano, e, per di più, tutte le scienze della razza (in questo caso: le scienze della razza femminile verso quella maschile).
Il 1968 ci aveva poi spiegato che non esiste l'individuo “folle” (o violento, o criminale) in quanto tale, che il problema dei comportamenti devianti (in senso psichiatrico quanto criminale) non potesse esser cercato in una inesistente “monade” umana, ma in tutto il “sistema” nel quale siamo immersi e di cui condividiamo le regole (famiglia inclusa: ad esempio, noi sappiamo che molti comportamenti sono frutto delle modalità con cui la madre riesce a far elaborare al figlio le frustrazioni che nascono dal contatto con la realtà: ma nessuno pensa mai che dietro un uomo (e una donna!) violento possano esserci con estrema facilità madri che li abbiano infantilizzati, e padre parimenti disfunzionale: tutto viene ricondotto sbrigativamente alla sola colpa di “esser maschio” ).
Al momento, si assiste invece ad un riduzionismo estremo (il maschio è colpevole, tutte le altre spiegazioni e gli altri approfondimenti non solo sono bandite: sono eresia!), riduzionismo estremo che nega ogni valore alle relazioni e alle regole delle relazioni come portatrici di disvalori, e criminalizza solo l'anello finale (finale, ma non unico, dicono gli studi) di un problema gravissimo che esprime in realtà molto bene sia il peso dei disvalori della nostra cultura, sia come per l'ennesima volta la negazione di questi disvalori avvenga attraverso la proiezione razzista (generatrice per definizione di lager: concreti o del pensiero) su una categoria incaricata di sentirsi colpevoli per tutte le brutture umane (una volta erano i negri, poi lo son stati gli ebrei, prima ancora forse le donne, oggi, però, da criminalizzare sono i maschi).

La mia impressione è che qui si attribuisca la violenza sulle donne alla “malvagità” del nuovo mostro di questi anni (il maschio) e che questa interpretazione (sottolineo: interpretazione) riporti invece indietro di secoli, e verso posizioni razziste, intolleranti, criminalizzanti, dogmatiche, l'orologio delle scienze sociali e, soprattutto, del ruolo della donna.
Donna che, così, rischia di diventar sempre più vittima di nuovi oscuri dogmi.