12 ottobre 2012

Il bambino di Padova. Qual è la vera violenza che ha subito?

Un articolo della professoressa Maria Cristina Verrocchio, professore aggregato alla Università di Chieti  di Psicologia Clinica Forense.Perché è ora di interrogarsi su un punto: qual è la vera violenza che il piccolo Leonardo di Padova, sottratto alla madre, ha subito davvero?



Il caso del bambino di Padova è ormai esploso nella sua drammaticità ed è sotto gli occhi di tutta l’opinione pubblica. E’ sotto gli occhi di tutti per la tragicità del modo in cui è stato allontanato dalla madre: con violenza e contro la sua volontà. 

Non c’è dubbio: l’allontanamento è stato violento.

Ma, nella riflessione che vi propongo, non possiamo non considerare che, prima di questo video trasmesso, la tragicità della storia di vita di questo bambino, che non era ancora sotto gli occhi di tutti, era comunque presente, così come era presente una sua enorme sofferenza, essendo costretto a vivere eventi e situazioni (nei servizi sociali, nei tribunali, ecc.) di per sé condizionanti un sano e sereno sviluppo psichico. 

Da quello che si legge sui giornali questo bambino stava vivendo, come molti altri bambini nel nostro paese,  una storia di vita caratterizzata dall’incapacità dei suoi genitori di prendersi cura di lui. 
O meglio caratterizzata dalla disputa e dal conflitto che si riverberava su di lui, privo di ogni responsabilità. 

Stava vivendo una vita senza la possibilità di godere della relazione con suo padre

La questione inerente il fatto che non vedeva più il padre e che, come si scrive, non lo riconosceva come padre era diventata di pertinenza del sistema giustizia.

Una prima domanda: come mai non voleva vedere il padre? 

Esistevano comportamenti pregiudizievoli di vario tipo (ad opera del padre e/o della madre) che hanno determinato l’allontanamento di questo bambino dal padre?

Evidentemente i diversi procedimenti giudiziari si sono interessati di capire quali ragioni portavano a questo distacco dalla figura paterna.

Quando in situazioni di questo genere il sistema giustizia entra in gioco, viene chiamato a decidere, su “delega” dei genitori incapaci, circa quale dei due genitori è più o meno capace di prendersi cura del figlio.
E qui deve subentrare una prima riflessione: nel momento in cui si delega, in qualche modo, al sistema giustizia di decidere sul proprio figlio e su quale sia la migliore condizione per lui, come mai le decisioni che prende il sistema giustizia poi non vengono accettate? 

Il sistema giustizia emettendo un certo tipo di sentenza “da la colpa o la ragione” ad uno dei due genitori, in modo più o meno esplicito, continuando a contribuire alla prosecuzione di una guerra nella quale nessuno dei due genitori vuole deporre le armi. I primi a cadere in queste guerre sono ovviamente i più deboli, ossia i bambini, messi sul campo di battaglia privi di qualsiasi arma adeguata e consona alla loro età. 

O meglio, spesso i bambini vengono armati e diventano protagonisti attivi di queste battaglie, vengono dotati di armi potentissime che tuttavia sono assolutamente molto pesanti da gestire e da maneggiare. Essersi caricati di armi così pesanti influisce pesantemente su di loro. 

Per uscire dalla metafora, ormai una consolidata letteratura scientifica internazionale ha dimostrato che i figli di genitori separati, ingaggiati in dispute, triangolati, “sgenitorializzati” e alienati da una figura genitoriale subiscono numerose conseguenze psicologiche e psicopatologiche a breve e a lungo termine in vari domini.

Evidentemente, dunque, ci sono aspetti molto più profondi da considerare, in quanto questa “delega” al sistema giustizia viene data dai genitori in maniera automatica e inconsapevole. I genitori, così impegnati a litigare e a confliggere, perdono di vista questa consapevolezza banale: se si entra nel sistema giustizia c’è qualcun altro che può e che deve prendere decisioni che mirano all’interesse del proprio figlio.

In questa vicenda di cronaca, come mai i mass media non stanno dando il giusto rilievo a tutta la situazione e soprattutto alle decisioni assunte dal sistema giustizia?

Quello che sta emergendo è che la madre aveva da tempo perso la potestà genitoriale, che era stato dimostrato il suo condizionamento che aveva portato all’alienazione del padre e che si era ritenuto più utile che il minore fosse affidato al padre dopo un periodo di permanenza in una struttura protetta. La Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta di sospensione avanzata dalla madre.

Questi i fatti.

I mass media, al di là dei fatti inerenti tutta la vicenda, premono sulla modalità violenta e ampia parte del dibattito che si sta muovendo da parte di tutti (Governo, Associazionismo, ecc.) riguarda sia l’inaccettabilità di tali modalità di allontanamento sia la ricerca di responsabilità in quegli agenti di Polizia protagonisti del video. Siamo alla ricerca di mostri che hanno agìto violenza su quel bambino. 

Allora, forse limitarsi a queste riflessioni  può essere alquanto riduttivo ed improduttivo. Approfondendo la questione: chi per primo ha agìto violenza su quello stesso bambino?

Chi ha portato a questo allontanamento così violento?

Discutere sulla modalità violenta è abbastanza semplice; esprimere il nostro sdegno e dissenso è ciò che viene determinato, con maggiore spontaneità, dal vissuto provato da chiunque abbia visto questo video. Tristezza, impotenza, ingiustizia, rabbia…questi alcuni dei vissuti che emergono vedendo un bambino portato via con forza, un bambino che chiede aiuto al nonno, alla zia.
Bene, ma questi nonni, questa zia cosa fanno? Urlano, riprendono con il cellulare, tentano in tutti i modi di “non farlo portare via”. 

Dicono: i bambini vanno ascoltati

Ma cosa si intende con questa frase: i bambini vanno ascoltati? 

Forse che quando un bambino dice che non vuole vedere il padre va assecondato e lasciato perdere? 

Purtroppo chi si occupa di psicologia e di comprensione di dinamiche intrapsichiche ed interpersonali in queste vicende così tristi, sa che non è sufficiente intendere in questo modo l’ascolto del minore

Ascoltare il minore vuol dire non solo ascoltare il contenuto delle sue comunicazioni ma comprendere più a fondo il suo vissuto emotivo, ascoltare quindi la sua sofferenza quando dice che non vuole più vedere il suo papà, un papà chiaramente di cui abbiamo certezza che non ha compiuto azioni violente nei suoi confronti. 

Un bambino che dicendo che non vuole più vedere il padre sta rifiutando una parte di Sé, sta dunque rescindendo una parte della sua storia e della sua identità.

Il punto che mi sembra interessante rilevare è che focalizzare l’attenzione su questa modalità violenta attribuendo colpe e responsabilità soltanto alle Forze dell’Ordine è senza dubbio un’altra violenza priva di qualsiasi utilità per quei minori che ora tutti dicono di voler tutelare richiamando le diverse Convenzioni internazionali. 

E’ il nostro Sistema che non funziona e non funziona da tanto tempo, non avendo strumenti utili per intervenire in situazioni di questo tipo.

Se tramite questo tragico, e senza dubbio violento, episodio perpetrato ai danni di questo bambino diventa necessario e improrogabile richiamare l’attenzione di tutta la nostra società, ciò va fatto in maniera responsabile, intelligente. Ossia va fatto utilizzando una modalità di ragionamento completa ed esaustiva.

La responsabilità di quello che è accaduto, dunque, va ricercata analizzando tutta la vicenda e non soltanto il suo finale drammatico. Sarebbe allora utile che tutti si chiedessero: cosa è accaduto prima? Quali e quanti procedimenti sono stati avviati per tutelare quel minore?

Volendo soltanto soffermarci sul video e sull’allontanamento ci si può chiedere: quanta violenza è stata trasmessa a quel minore dall’opposizione, dalle grida e dalla disperazione della famiglia materna? 

In che modo mamma, zia e nonni stavano tutelando quel bambino? 

E ancora, prima di quel famoso giorno davanti alla scuola, come mai la madre continuava ad opporsi all’attuazione di un provvedimento emesso dal sistema giudiziario? 

Quanto, tutta la famiglia materna, ha in realtà dimostrato di essere tutelante nei confronti del minore rispetto al suo diritto di avere vicino la figura del padre?

Concludo le mie osservazioni, basate evidentemente soltanto su notizie di cronaca, esprimendo tutto il mio dissenso nei confronti di chi, in maniera assolutamente riduttiva, tenterà di esaminare questa vicenda. 

E’ responsabilità sociale, e quindi di tutti, stimolare un dibattito che diventi veramente proficuo proprio per l’interesse di tutti quei bambini che ogni giorno subiscono gravi violenze (seppur non documentate da video), che ogni giorno diventano prede di genitori incapaci di gestire le proprie problematiche intrapsichiche ed interpersonali irrisolte. 

E’ quindi una responsabilità sociale non avviare una nuova caccia alle streghe in cui i demoni da scacciare diventano i padri, per alcuni, o le madri, per altri, o le forze dell’Ordine o gli assistenti sociali che rubano i bambini. O ancora demonizzare una Sindrome (la PAS) in sterili dibattici pseudoscientifici in cui ci si schiera da una parte o dall’altra per dimostrarne o meno l’esistenza. 

Volendo andare oltre, la realtà attuale è che ci sono molti bambini a cui viene tolto il diritto di crescere con uno dei genitori. Ed è su questo diritto del bambino ad avere accanto entrambi i genitori e sul diritto/dovere di ogni genitore di prendersi cura del proprio figlio che vanno argomentate tutte le nostre riflessioni con l’intento di evidenziare le lacune e le problematicità di intervento presenti nel nostro Paese. 

Il paradosso che stiamo evidenziando è che questo caso di cronaca, prodotto in verità da un sistema sociogiudiziario inefficace e scarsamente tutelante i minori, sta determinando la ricerca di un capro espiatorio non consentendo – e questo è il rischio che vogliamo combattere – di concentrare l’attenzione sull’indagine delle reali responsabilità di tutto il sistema che portano ad agìre violenze sui nostri bambini. Forse potremmo concludere che ormai siamo di fronte ad un sistema che si sta avviluppando su se stesso in modo altamente dirompente e distruttivo.


Prof.ssa Maria Cristina Verrocchio
Psicologa Psicoterapeuta
Ricercatore in Psicologia Clinica
Professore aggregato di Psicologia Clinica Forense
Università di Chieti