04 maggio 2006

IL MOBBING GENITORIALE DALL'ETOLOGIA ALL'ETICA


CONGRESSO
AILAS 2006

Simposio Speciale: “ADATTAMENTO E PSICOPATOLOGIA FAMILIARE NELLA SEPARAZIONE GENITORIALE”

14.00 - 14.15 • INTRODUZIONE

Adolfo Petiziol


14.15 - 14.30 • IMMAGINI GENITORIALI E GENITORI REALI:

RISCHI PSICOPATOLOGICI E SOCIALI DEI FIGLI NELLE

SEPARAZIONI CONFLITTUALI

Francesco Montecchi


14.30 - 14.45 • L’ASCOLTO DEL MINORE

Marisa Malagoli Togliatti


14.45 - 15.00 • L’ EMOTIVITA’ ESPRESSA NELLA SEPARAZIONE CONFLITTUALE:

UNO STRUMENTO DI VALUTAZIONE

PER LA TUTELA DEL MINORE

Massimo Clerici


15.00 - 15.15 • LA TUTELA DEL MINORE NELLA SEPARAZIONE CONIUGALE

Lisa Di Gennaro


15.15 - 15.30 • LA CRISI CONIUGALE: STRUMENTI DI GESTIONE

Maria Pia Sabatini


15.30 - 15.45 • LA COLLOCAZIONE DEL MINORE NELLE SEPARAZIONI TRA

GENITORI CONFLITTUALI O MULTIPROBLEMATICI.

L’AFFIDAMENTO A TERZI SECONDO LA LEGGE 54/2006

(C.D. LEGGE SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO)

Paola Cattorini


15.45 - 16.00 • IL DISAGIO DEI PERIZIANDI NELLA CONSULENZA TECNICA

D’UFFICIO E DI PARTE

Carlo Lorenzo Cazzullo, Luciano Magotti


16.00 - 16.15 • IL MOBBING GENITORIALE DALL’ ETOLOGIA ALL’ ETICA

Gaetano Giordano


16.15 - 16.30 • ABUSO PSICOLOGICO NELLA SEPARAZIONE GENITORIALE:

PROFILI GIURIDICI E CRIMINOLOGICI

Paolo Di Martino


16.30 - 16.45 • LA MEDIAZIONE SUL CONFLITTO GENITORIALE

TRA OBBLIGO E SCELTA CONSAPEVOLE

Vito Tùmmino


16.45 - 17.00 • LA SINDROME DI COGNE

Cesare Peccarisi


17.00 - 17.15 • SEPARAZIONE, LIBERTA’ E BIGENITORIALITA’

Mario Andrea Salluzzo


IL MOBBING GENITORIALE DALL’ETOLOGIA ALL’ETICA

Dr. Gaetano Giordano

Direttore del Centro Studi Separazioni e Affido Minori

Il termine "mobbing" è stato utilizzato per la prima volta in etologia da Lorenz, per descrivere gli attacchi di piccoli gruppi animali contro uno più grande. Nel 1984 Heinz Leymann e Gustavsson, lo usarono per descrivere le ripercussioni sul lavoratore di un comportamento ostile e prolungato da parte di superiori e i colleghi.

Una ricerca bibliografica compiuta sulla letteratura etologica, permette però di affermare che il “mobbing” animale è un comportamento rivolto esclusivamente alla tutela della prole o dei nascituri, e che si verifica esclusivamente in presenza di uova fecondate o di prole. Sembra dunque acclarato che in etologia, come sostiene l’etologo Allock, “i genitori che manifestano attività di mobbing proteggono con essa i propri piccoli e le proprie uova, e che in questo risiede il valore adattivo di tale comportamento attivo”, cioè una sorta di situazione ottimale che favorisce negli individui la trasmissione dei propri geni.

Quando abbiamo cominciato ad applicare il concetto di “mobbing” alla conflittualità genitoriale, lo abbiamo fatto soprattutto perché colpiti da tre aspetti dei contesti conflittuali: il primo è stato quella sorta di almeno apparente “organizzatività” che si riconosce in tutta una serie di comportamenti dei genitori in conflitto, i quali sembrano (spesso entrambi allo stesso modo) pianificare strategicamente e accuratamente le proprie mosse e i propri comportamenti per escludere l’altro dalla vita genitoriale. Il secondo è la differenza di percezione che i partner dei conflitti genitoriali sembrano avere di loro stessi e dei propri comportamenti. Il partner usualmente definibile come “mobbizzante”, cioè il cattivo, sembra considerarsi sempre – dando ora una ora l’altra spiegazione - pienamente nel giusto a operare, nel tentativo di estromettere l’altro dal proprio ruolo genitoriale, e anche se con modalità anche estremamente lesive. Il genitore definibile come “mobbizzato” appare invece sempre – e come tale si percepisce – quale vittima di ingiustizia. E’ di solito vittima davvero di gravi ingiustizie, ma raramente riesce a dimostrarlo, perché a chi assiste al conflitto, appare spesso, anche se non sempre, inevitabile leggere in entrambi i partner una strategia mobbizzante, nella quale è difficile comprendere quale comportamento causa l’altro, e chi dei due sia un “mobber” e chi, soprattutto, no.

Il terzo dato, è che il sistema che dovrebbe operare per riportare un equilibrio nella coppia, vale a dire il sistema sociogiudiziario, sembra di fatto colludere ampiamente con la conflittualità della coppia. Dato questo che si accompagna, nella nostra lettura, a due fenomeni a nostro avviso ben rappresentativi.

Il primo, riguarda la pressoché totale assenza nella letteratura scientifica di ogni ipotesi relativa all’influenza che può avere sulla conflittualità della coppia il sistema che dovrebbe gestirla, un sistema nel quale la conflittualità è premiata e premiante, e che opera tutelando non la coppia genitoriale, come ad un altro livello si afferma essere indispensabile, ma i diritti individuali, che vanno riaffermati attraverso vittorie giudiziarie.

Il secondo dato – del tutto speculare al precedente - riguarda la pressoché totale assenza di interesse del sistema giudiziario a veder rispettati i propri pronunciamenti. E’ esperienza comune constatare come le statuizioni giudiziarie vengano non ottemperate nella grande maggioranza dei casi, che le infinite querele vengano totalmente disattese anche se comprovano comportamenti criminosi, che le false accuse di abusi e maltrattamenti vari riescono invece sempre o quasi a troncare calunniosamente il legame genitoriale, in assenza di qualsiasi stigmatizzazione giudiziaria, anche quando se ne ravvisi la dolosità.

In sostanza, la conflittualità genitoriale nelle separazioni sembra essere ad un livello un male cui porre rimedio, ma all’altro una strategia che tutti, alla fine ritengono comunque obbligata e premiante nella tutela della prole, quasi un male necessario, che difende realmente il minore.

Un altro dato sembrava poi confortare questo assunto: mentre per quanto riguarda il mobbing lavorativo si assiste a un fiorire di studi e tutele per i danni che provoca (quattordici sono i progetti di legge presentati a tutela dei mobbizzati), per quanto riguarda le separazioni coniugali vi è il dato opposto: la conflittualità organizzata e finalizzata all’estromissione dal ruolo genitoriale, non è di fatto considerata un problema da nessuno, ma solo – all’atto pratico - una piaga di cui parlare nei convegni come questo, o nei centri Universitari di Mediazione, prima di partecipare alla prossima causa di separazione. Se poi si pensa che oltre mille sono i morti dovuti negli ultimi dieci anni alla conflittualità genitoriale, e che nessun rimedio sociale viene invocato al proposito, mentre per altri eventi di rilievo sociale con vittime innocenti, si sono avuti sia pronte etichettature massmediatiche (per citare: stragi del sabato sera, violenza negli stadi, il nonnismo, l’emergenza pittbul, la stessa violenza domestica, l’infibulazione rituale, eccetera) e il ricorso a quasi immediati rimedi legislativi, pur in presenza di un numero di vittime spesso di gran lunga inferiore a quello da mobbing genitoriale, allora si deve dedurre necessariamente che questo macrosistema culturale accetta come valore nascosto che per il possesso del proprio figlio ci si possa scannare da animali, appunto.

Quando abbiamo cominciato a considerare questo punto di vista, e cioè che la conflittualità potesse esprimere davvero un valore nascosto, ci siamo resi conto che proprio inquadrando la conflittualità genitoriale in un unico concetto operativo, quello di “mobbing genitoriale” appunto, si appalesava una visione per così dire antropologica del problema che spiegava appunto perché tutti, alla fine, accettiamo e legittimiamo come obbligata e forse necessaria in una coppia la conflittualità genitoriale.

Per quanto riguarda il mobbing genitoriale, abbiamo quindi stila – sulla falsariga di Leymann per il mobbing lavorativo - una “Inventory” dei comportamenti che usualmente si sviluppano in questi casi: il Parental Mobbing Inventory, o PMI, che classifica in due macrocategorie i comportamenti di usuale riscontro nelle contese genitoriali.

A loro volta le due macrocategorie sono suddivise entrambi in due sottocategorie.

Mettendo infatti insieme tutto il campionario della conflittualità genitoriale, viene fuori che essenzialmente due sono gli obiettivi dei genitori mobber: la distruzione della relazione dell’altro genitore con il proprio figlio, e la distruzione della possibilità di esprimerla socialmente.

Quando ad essere colpita è la relazione in quanto tale, ciò avviene attraverso due modalità operative che sono la Creazione di ostacoli alle frequentazioni genitore-figlio, e la Creazione di una campagna di delegittimazione genitoriale nei confronti del minore coinvolto.

Quando invece la mobbizzazione riguarda l’esprimersi sociale e legale della genitorialità, abbiamo altre due modalità: la Creazione di ostacoli alle informazioni e alla partecipazione ai processi decisionali relativi ai figli; la Creazione di una campagna di aggressione e delegittimazione sociale e legale. Ovviamente, in queste quattro sottocategorie sono rappresentati una infinità di possibili comportamenti, che al momento indaghiamo e strutturiamo con una Griglia Interpretativa dei Comportamenti Genitoriali Mobbizzanti, da noi stilata (e di prossima pubblicazione).

Quando abbiamo sistematizzato in questa Inventory i comportamenti di mobbizzazione genitoriale, ci siamo accorti che il vero punto dolente della conflittualità genitoriale è che nel corso del conflitto giudiziario si genera sempre più forte nei partner la percezione che l’altro genitore è un estraneo anche per il proprio figlio, e questo fa emergere istinti innati di difesa della prole.

Che la rottura della coppia genitoriale sia alla base della psicopatologia della separazione, è risaputo da tempo: ma a noi è sembrato più importante chiederci se questa estraneizzazione dell’altro genitore sia solo frutto della conflittualità genitoriale, e come mai diventi una molla tanto potente da riempire Tribunali e studi legali, e spingere gente in fondo normale a cattiverie e reati prima impensabili.

Ci siamo però posti in una prospettiva per così dire antropologica, considerando cioè quali fossero i valori culturali che si esprimevano nei contesti di conflittualità genitoriale.

La risposta che ci siamo dati e dunque crediamo di aver trovato è veramente paradossale, perché – da questa angolazione - tutto ci porta a ritenere che la conflittualità genitoriale in corso di separazione coniugale è una risposta obbligata, di tutela della prole, generata da un microsistema autopietico, la coppia in conflitto, posto di fronte all’irruzione di un macrosistema, quello sociogiudiziario, che interviene sì su una richiesta già conflittuale, ma imponendo nuove regole, poste su codici e canoni assolutamente diverse e del tutto distruttive della autopoieticità della coppia.

Quel che accade, in altri termini, è che il macrosistema sociogiudiziario cui la coppia si rivolge per gestire il proprio conflitto non è in grado di restituire alla coppia la propria autopoieticità, perché fondato su codici e canoni culturali opposti, e si comporta poi esattamente come una cultura di invasione, fondata di fatto su regole di predominio a somma zero, nel quale i vantaggi per i singoli partner sono illusori (come gli specchietti regalati ai selvaggi) e i veri guadagni sono del sistema (che inizia non a caso ad appropriarsi delle risorse economiche della famiglia).

La conflittualità della coppia viene così ricondotta verso logiche di separazione e sopraffazione e non di condivisione e solidarietà, perché il codice culturale del macrosistema è un codice che privilegia solo i diritti del singolo, e mai quelli delle relazioni.

Accade cioè quel che accade in qualsiasi sperduto villaggio del Sud del mondo a economia locale, quando entrano i conquistadores portando denaro e specchietti luccicanti, e l’economia locale diventa, da economia di solidarietà e convivenza, economia di consumo e vantaggio personale, con immediata comparsa di fenomeni di disagio sociale.

Un’altra metafora, forse più pregnante e attuale, può essere quella di quelle tragedie emerse nei paesi dell’Est, in specie nelle ex repubbliche sovietiche, improvvisamente passati da una gestione statalista e centralizzata, che comunque – piaccia o non piaccia - garantiva ammortizzatori contro il tracollo del singolo, a una di assoluto capitalismo selvaggio, nel quale ogni pur minimo vantaggio di condivisione dei beni e delle sicurezze sociali prima esistente ha lasciato posto ad una assoluta mancanza di garanzie e tutele collettive.

Chi si è potuto arricchire è diventato, in quelle zone, un mafioso mammasantissima, e chi non aveva mezzi è diventato, come chiunque si rechi in quei paesi può constatare – un povero esposto ad una totale deregulation dell’etica e delle leggi. La stessa situazione si genera in una coppia allorché in uno dei genitori, spesso la mamma, santissima ovviamente, e altrettanto spesso con la complicità del sistema sociogiudiziario, compare la certezza, tipica anche di non pochi padri, di poter operare in assenza di legalità, e dopo che il senso di solidarietà e condivisione è andato distrutto.

Sarebbe però un errore indicare nella coppia in conflitto un “buono” e un “cattivo”, i quali sicuramente esistono, ma sempre con quelle alternanze, parallelismi e collusioni che dimostrano come le cause delle conflittualità non sono solo interne alla coppia: la conflittualità, va secondo noi ripensata come segno paradossale di una ricerca di stabilità da parte di un microsistema che sta per soccombere all’irruzione di una dimensione destruente, che è la cultura del macrosistema giudiziario, orientata alla difesa a oltranza del singolo, e dei suoi diritti e vantaggi.

Quello che occorre, a nostro avviso, è dunque un pensiero che vada oltre lo psicologismo e il tecnicismo giuridico, e anche contro il tecnicismo delle mediazioni offerte come panacee per assolvere le proprie coscienze, e a volte risolvere le proprie disoccupazioni, di operatori del conflitto, ma che inquadri invece la conflittualità genitoriale come un problema per così dire antropologico, cioè di scontro fra due opposte epistemologie delle relazioni , nel quale il mobbing genitoriale esprime il regresso della coppia verso comportamenti innati o etologicamente pregressi di tutela della prole a fronte di questa improvvisa e distruttiva deregulation.

Quello che deve dunque essere riscoperto anche collettivamente, è una cultura della relazione, che individui anche giudiziariamente nei legami affettivi, nelle relazioni umane, nel bisogno di condivisione e di solidarietà, il vero oggetto di tutela.

Nella nostra ansia, tutta occidentale e primomondista, di garantire all’Io, e dunque ai singoli, stabilità, prerogative, diritti, abbiamo infatti assolutamente dimenticato che ognuno di noi nasce come tale, e comprende di esser tale, solo perché immerso in una rete di relazioni affettive e cognitive che danno senso alla differenza fra un Io e un Tu.

Il messaggio che pertanto emerge dalla conflittualità genitoriale è un messaggio che riporti l’intervento professionale degli operatori del conflitto da una cura degli interessi dei singoli ad una etica personale di tutela delle relazioni.

In assenza di tale passaggio, diventa molto arduo proporsi come credibili scienziati del benessere dei minori.

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Un particolare ringraziamento alla dr.ssa Roberta Patrocchi, che si è assunta l’ingrato e importantissimo compito di verificare tutta la letteratura etologica, e al dr. Giuseppe Dimitri che sta sviluppando con rara e spesso frustrata (da me) pervicacia la Griglia Interpretativa dei Comportamenti Genitoriali Mobbizzanti

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